La mattina del 4 novembre Gasperino e Rodolfo Fiadino, per aver ospitato prigionieri inglesi fuggiti dal campo di concentramento di Sulmona, furono fucilati da un plotone tedesco in località "Sotto il Monte" dove a distanza di un anno, a ricordo del fatto, fu posta una lapide. L'unico presente all'esecuzione fu l'Arciprete di Capracotta don Leopoldo Conti che venne condotto sul luogo dell'esecuzione per somministrare i Sacramenti ai condannati. Sul posto era già pronta la fossa, fatta scavare dagli stessi Fiadino, e due ceppi, due giovani faggi troncati, così come dovevano essere troncate le vite di due giovani lavoratori della terra, i Colaizzo di Capracotta. A don Leopoldo, per la fortissima emozione, riuscì impossibile confessare i condannati; ebbe però la forza di avvicinarsi ad essi con il crocifisso, che Rodolfo e Gasperino baciarono. Cominciarono così le giornate di terrore e di spasimo. Squadre di S.S. andavano di casa in casa a prelevare uomini. Molti si diedero alla montagna, molti altri si tennero nascosti nei sottotetti e nelle cantine, ove a suo tempo erano stati nascosti viveri, biancheria ed oggetti di valore. Le donne provvedevano ai rifornimenti e a dare notizie. La stessa sera di quel giorno ci fu la prima partenza di capracottesi razziati. Il giorno successivo sarebbero dovuti partire tutti gli altri. Senonché accadde l'imprevisto: alcune donne erano andate a portare il caffè ai loro congiunti sorvegliati dai Tedeschi e ne offrirono anche a costoro, che gradirono l'offerta e pertanto si distrassero dai sorvegliati. Ci fu chi se ne accorse e saltò dalla finestra. Quest'esempio fu seguito da altri. I Tedeschi si accorsero di essere stati gabbati: nella sala non erano restate che poche persone che avevano avuto paura della fuga. Si diedero per il paese a ricercare uomini, altri uomini, tutti gli uomini. Ma gli uomini validi erano tutti fuggiti da Capracotta o si tenevano prudentemente nascosti. E allora presero vecchi e ragazzi che caricarono su alcuni camion e condussero in Ateleta, dove vennero rilasciati perché ritenuti non idonei al lavoro. Dovettero fare a piedi la strada del ritorno.
Molte famiglie di capracottesi residenti a Roma, a Pescara, a Napoli ed in altre città erano qui tornate perché, così facendo, pensavano di stare lontano dai pericoli della guerra.
Lo stesso ragionamento avevano fatto molti forestieri che in gran numero erano venuti quassù: moltissimi di costoro furono presi dai Tedeschi e deportati.
Fu allora che il generale Kesserling decise la distruzione di molti paesi dell'Alto Sangro, in previsione di una ritirata. Di questa decisione Capracotta fu la prima ed illustre vittima.
L'alba dell'8 novembre stentava a nascere quasi presaga di quel che doveva succedere. Fu una giornata grigia e fredda.
Alle 8 ci fu il bando: bisognava abbandonare le case perché dovevano essere minate, nessuna esclusa.
Allora si assistette ad una dolorosa lunga sfilata di vecchi, donne, ragazzi, bambini, infermi che abbandonavano il loro tetto. Nessuno sapeva dove si dovesse andare. Faceva molto freddo e c'era la neve. Da lontano ognuno poteva sentire il crollo di una casa. A sera la maggior parte della popolazione era nelle chiese ed al cimitero. Qui già erano rifugiati uomini validi che si tenevano nascosti. Bisognava stare sempre in guardia per poter fuggire al primo allarme. Si passò una nottata indescrivibile. Chi non l'ha vissuta difficilmente può comprendere. Freddo e fumo irrespirabile... i vivi con i morti... si dormiva per terra... si dormiva pure nei loculi, sugli altari... si ammazzavano pecore e si appendevano alle Croci... dappertutto legna, materassi, coperte e tutto ciò che si era riuscito a salvare prima che arrivassero i Tedeschi... e un vociare continuo fatto di dolore e di preoccupazione... e lamenti di bambini... e richiami di madri... molte preghiere... qualche imprecazione: triste bivacco. Come Dio volle il nuovo giorno scacciò la notte. Si disse che si poteva rientrare. Si disse pure che una Commissione avrebbe fatto il giro del paese per constatare l'entità delle distruzioni: questa Commissione avrebbe dovuto esprimere il suo parere a proposito di altre distruzioni.
Rientrati a Capracotta si vide che mezzo paese era stato distrutto. Si fece a gara ad ospitare chi aveva avuto la casa crollata. Alcuni annerivano le mura delle case ancora in piedi per dare l'impressione che fossero già state bruciate. Purtroppo Capracotta fu giudicata ancora capace di ospitare il nemico e a mezzanotte i Tedeschi cominciarono di nuovo a minare. Nessuno dormiva. Al primo giorno ricominciò il triste esodo di quanti erano rientrati in paese. Cinque giorni impiegarono i Tedeschi a distruggere Capracotta. Qualche particolare di rilievo...
L'ostetrica Cesarina Trotta ricoverò tutte le gestanti nella sua casa già mezza bruciata, e perciò alcune case vicine furono rispettate; si prodigò pure assai il sacerdote salesiano don Carmelo Sciullo portando a tutti aiuti e parole di conforto. Il 13 novembre i Tedeschi, lasciando lutti, lacrime, terrore e distruzioni, si ritirarono oltre il Sangro. Quel giorno si respirò.
Si abbandonarono definitivamente cimitero e chiesa dove tutti si erano abituati a stare, da dove avevano osservato, impotenti, i crolli e roghi immensi. Due donne però rimasero per sempre nel nostro cimitero a dormire il sonno eterno, vittime del dolore e del male. La distruzione di Capracotta fu quasi completa: restarono in piedi solo le chiese ed alcune abitazioni. Per tre giorni il paese fu terra di nessuno. Il 17 novembre avanguardie canadesi occuparono a loro volta Capracotta. Da allora ebbe inizio l'opera di ricostruzione. Tutti lavoravano: dai ragazzi ai vecchi alle donne e il miracolo si compì. Perciò, forse, della distruzione di Capracotta poco si è parlato, mentre di altre distruzioni ancora oggi si tratta: il capracottese ama il lavoro silenzioso.
Fu di allora la morte del capraio Fiore De Renzis, ritrovato in località "Difesa" orribilmente mutilato per lo scoppio di una mina anticarro.
Cominciarono intanto ad arrivare i primi autocarri alleati. Verso la fine di novembre arrivarono i paracadutisti che piazzarono le loro artiglierie nei prati della "Vicenna".
Vi furono altre ore di panico dovuto al cannoneggiamento dei Tedeschi schierati oltre il Sangro. Le strade erano tutte ingombre di macerie ed era difficile stabilire dove era la tal casa ed ove tal'altra.
Venivano anche rimosse le salme dei Fiadino e ad esse veniva data degna sepoltura. Il 6 dicembre ci fu l'ordine inglese di sgomberare il paese: "Tutti quelli che non sono considerati necessari dal Comando alleato si debbono preparare per partire subito".
I Carabinieri, da poco rientrati in servizio, giravano di casa in casa per convincere tutti ad andare via. L'8 dicembre lo sfollamento era quasi completo. Una parte dei capracottesi si rifugiò nella vicina Agnone. La maggior parte dei capracottesi venne trasportata su camion nelle Puglie (Lecce, Brindisi, Taranto). Molti avevano nelle Puglie una casa e la raggiunsero (Lucera, San Severo, Canosa). A Capracotta intanto erano rimaste solo 75 persone che potevano girare per il paese con uno speciale permesso. A febbraio cominciarono a rientrare gli sfollati. A maggio il fronte si spostò più su e Capracotta fu completamente abbandonata dalle truppe alleate.
Corrado D'Andrea
Fonte: C. D'Andrea, Le tragiche giornate di Capracotta nella furia devastatrice della guerra, in «Momento-Sera», XI:5, Roma, 5-6 gennaio 1956.