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Giuochi infantili di Capracotta


I bambini capracottesi e la neve (foto: G. Paglione).

Boia e re

È un giuoco comunissimo da noi e corrisponde all'italiano aliossi. Si fa con l'osso

del malleolo degli animali ovini, chiamato astragalo, e vi possono prender parte due o più giuocatori. Chi fa cadere l'osso per terra da una delle due parti lisce è re, se dalla parte opposta è boia. Proceduto alla nomina delle cariche, incomincia il giuoco. Guai all'infelice che fa cadere l'osso trasversalmente, dove è un segno a forma di osso. Il re ordina al disavventurato tante decine di pugni ed il boia, compiacentemente, esegue senza lesinare sulle proprie forze. Ma la fortuna è femmina e spesso le parti s'invertono, ed allora botte da orbo agli spodestati.

Così il giuoco continua sino a quando i giuocatori sono stanchi e le partite equiparate.

 

A pischìte

È il giuoco fanciullesco per eccellenza e si fa in due. Il pischìte è un corto pezzo di legno tagliato a fuso. Il favorito dalla sorte, per mezzo d'una mazza cilindrica e liscia, lancia il pischìte lontano e mette poi la mazza orizzontalmente sopra una fossetta appositamente scavata, che rappresenta il punto di partenza. L'altro va a raccogliere il pischìte e cerca di colpire la mazza, nel qual caso le parti s'invertono, e quanto meno d'avvicinarsi ad essa. Il primo giuocatore, allora, percotendo la punta del pischìte, lo fa rimbalzare e contemporaneamente cerca di colpirlo e mandarlo lontano: questo per tre volte. Poi, con la mazza conta la distanza sino alla fossetta, e il giuoco ricomincia.

Ad un certo numero di punti la partita è vinta.

 

Alle fosse

Si scavano quattro fossette ad una relativa distanza, e a ciascuna di esse vi è il giuocatore favorito dalla sorte, munito di mazza, con a lato un altro che butta il pischìte al compagno più vicino, cercando di farlo andare nella fossa. Ma, per lo più, il compagno avversario respinge con la mazza il pischìte, che va lontano. Mentre qualcuno va a raccoglierlo, i quattro con le mazze corrono da fossa a fossa, gridando: «Uno, due, tre, ecc.». Ma, se a colui che è andato a raccogliere il pischìte, riesce di metterlo nella fossa, gli avversarii perdono la mazza.

 

A chiùppa

È semplicissimo e comune ai due sessi. Il non favorito dalla sorte deve cercare i compagni che si sono nascosti; se riesce a scoprirli e ad acchiuppàrne qualcuno, lo obbliga a prendere il suo posto e così seguita il giuoco.

 

A ŝtìcchie

Su d'una pietra rettangolare, posta verticalmente (in gergo detta iérche), i giuocatori mettono uno o più soldi per ciascuno. Poi, a turno, per designazione della sorte, ognuno, da un punto stabilito, cerca di colpirlo con la piastrella e di far rimanere i quattrini vicino a questa. Indi, gli altri si ingegnano di accostare le loro piastrelle alle monete rimaste per terra, più o meno lontano dal iérche.

 

A parandìglie

Lo fanno le fanciulle, e consiste nello spingere in alto varie pietruzze (parandìglie) alternativamente, e così raccoglierle nelle mani senza interruzione. Il difficile sta nel non far mai cadere le pietruzze per terra, nel qual caso la partita è perduta.

 

Zalzamùsse e sciuoàmmare

Giuocano i fanciulli a zalzamùsse disponendosi a cavalcioni, tanti per parte, alle due estremità d'una trave in bilico.

Alternativamente, fanno peso e, or gli uni, or gli altri, si sollevano in aria e dolcemente ne discendono.

Il sciuoàmmare è il dondolare che fanno i fanciulli con le mani afferrate ad una fune, sospesa per lo più a un ramo d'albero.

 

A scandìglie

Si fa con le noci, per lo più quattro, tre sormontate da una quarta. I castelletti si dispongono a rettangolo o verticalmente, nel qual caso dicesi giuocare a caporale. Chi colpisce il primo, superiormente, prende tutto. A volte, le noci si mettono in fila, orizzontalmente, l'una vicina all'altra: allora il giuoco si dice a filarèlla.

 

A vrìccia

Si fa questo giuoco con soldi disposti l'uno sull'altro. Il favorito dalla sorte batte forte sul gruppetto con un ciottolino (vrìccia); i soldi, al colpo, rimbalzano: quelli che si presentano con l'effigie del Re vengono intascati dal giuocatore, il quale seguita a battere il ciottolino sui soldi rimasti sin che non siano esauriti o il colpo non sia sbagliato.

 

Pise e pisèlle

Graziosi e concettosi sono i canti con i quali i bambini accompagnano i loro giuochi. In quello detto pise e pisèlle i fanciulli si dispongono seduti, in linea orizzontale, con i piedi distesi. Qualcuno scandisce le parole su ciascun piede. Quegli a cui il canto termina viene messo fuori giuoco, il quale seguita sino a che non sia rimasto uno solo dei componenti la partita e questo viene portato a spalla dai compagni, per turno.


Pise e pisèlle

e scióre de cannèlle,

cannèlle e così sia,

ficca la penna...

a [e qui il nome],

scarafó, scarapicchió

tira ru pète a téo.


E l'altro, che a spiegarlo alla parola è incomprensibile e che forse è stato inventato per amore d'assonanza.


Pipendó

venerdì boscó

carta in Francia

e falla arremenì

e falla cotechì.


Spesso i nostri ragazzi, non sappiano o non vogliano, per risparmiarsi il fastidio di contare sulle dita, giuocando a pennini, a bottoni, a noci dicono:


Vù, vù, vù,

séra jèmme pe buttùne,

n'arrecàmme ciént'e une,

ciént'e une e la patacca,

li une, li due, li tre, li quattre.


Quegli a cui cade l'ultima sillaba del quattro è il designato dalla sorte. Negli stessi giuochi, i ragazzi, con la stessa procedura, dicono:


Séca e muléca

e le donne de Gaeta

e chi fila e chi tèsse

e chi fa pezzìglie d'ore,

mamma, mamma jésce fòre

jésce fòre arru giardine

pizzìglie d'ore e tagliulìne.


Zéza e zéza

e mìttemene mèza

e mìttemel'a renfrìsche

mó ze ne vieàne re tedische

re tedische e re spagnuóle

mó ze ne vieàne le scòppele bòne

e scòppele e scuppulùne

mó ze ne vieàne re buffettùne.


Chi dei Capracottesi, a primavera, d'estate, quando si aspetta l'acqua come una benedizione del cielo, non ha inteso il canto dei nostri ragazzi venir dalle finestre o dalla strada, benedicente alla benefica piova?


Chiòve e chiòve

e l'acca de ru vòve

e l'acca alla marina

e le grane a cinche carrìne.


Quando v'è un rovescio di piogge i ragazzi (socialisti in erba) mettono in caricatura i poveri padroni o implorano un raggio di sole consolatore.


Chiòve e chiòve da na settemàna

pane e vine arru gualàne

pane e vine arru garzóne

ŝchieàtta e crèpa signó padróne.


O se la prendono coi calvi, specie con quelli che malvolentieri sopportano la loro sventura.


Tatta carùse che trenta capìglie

tutta la notte ce canta ru grìglie

e ru grìglie c'ha sèmpe cantate

bonanòtte, coccia pelàte.


Le donne, poi, per divertire i bimbi, se li mettono a sedere sulle ginocchia e, toccando successivamente le dita della loro destra, a incominciare dal mignolo, dicono:


Dite, ditiglie

preta d'anieglie

lunghe lungane

accide peduocchie

e lecca murtale.


E, a incominciare dal pollice:


Quiŝte dice ca vò le pane

quiŝte dice ca 'n ce ne ŝta

quiŝte dice: vàlle a 'ccattà

quiŝte dice: 'n ce vuóglie ì

e quiŝte ti ri ti rì.


E, quando i bambini mutano un dente, buttandolo al fuoco, dicono:


Sant'Antuóne, sant'Antuóne,

ècchete re viécchie e damme ru nuóve,

me re puózze dà tanta forte

da caccià re chiuóve alla porta.


I giovanotti fanno il giuoco detto cavàglie e cavaglìtte. Si dispongono i giuocatori l'uno dietro 1'altro, poggiando quello di dietro le mani alla cintola di chi è davanti e con la testa bassa inclinata a sinistra. Chi è stato favorito dalla sorte salta, dopo breve rincorsa, sopra qualcuno di essi, a seconda la volontà e l'abilità dell'improvvisato acrobata, il quale, una volta a cavalcioni, dice:


Tinche e tincóne,

pane e sapóne,

cavàglie e cavaglìtte,

quanta corna tè re crapìtte?

[e qui mostra le dita]

e s'avìsse ditte quoàttre

mó ŝtarìsce a cavaglìtte,

'ccavaglìtte ŝta ru papa:

quanta corna tè la crapa?


E qui mostra le dita ancora. Se chi sta sotto indovina, prende il posto dell' altro, che fa da cavallo.


Oreste Conti

 

Fonte: O. Conti, Letteratura popolare capracottese, Pierro, Napoli 1911.

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