Mi ero diplomato da poco. Eravamo sotto Natale e non si vedeva ancora nessuna supplenza nelle scuole. Allora mio padre, presidente della locale Società di Mutuo soccorso degli Artigiani, scrisse all'organo provinciale preposto all'associazione di categoria, di cui non ricordo il nome, prospettando l'opportunità di istituire in paese un corso di aggiornamento culturale per i giovani artigiani apprendisti. Propose il mio nome come insegnante. La cosa andò avanti e in breve tempo il corso fu istituito e ne fu affidata a me la direzione.
Cominciò così la scuola artigiana. Era l'anno 1940. Le lezioni si svolgevano a casa, nel pomeriggio, nella cucina di mio zio Oreste, che, per l'occasione, veniva sgombrata, piuttosto malvolentieri, dalle donne e dai bambini.
Trattandosi di giovanetti di età poco inferiore alla mia, le lezioni non assumevano un tono cattedratico: erano alla buona, stile casareccio. Erano una sorta di corso di richiamo. E in verità si trattava di richiamare dall'archivio della memoria, ove si erano, per così dire, ben sedimentate, le principali nozioni di aritmetica e di geometria studiate nelle ultime classi delle elementari e di ampliarle opportunamente. In particolare, per la loro attinenza ai problemi del lavoro: le misure del sistema metrico, le figure piane e solide. In più: la radice quadrata e il teorema di Pitagora, ritenuti utili per la risoluzione di casi concreti. Il tutto integrato da esercitazioni di disegno, in ispecie geometrico, eseguite su scala a riduzione.
Uno dei frequentanti era compare Michelino "La Tosca", mio coetaneo, muratore ormai, spiritoso e arguto come un po' tutti nella sua famiglia. Era lui che dava il tono alle lezioni, permeandole di buon umore.
Un giorno mi dovetti assentare improvvisamente e non feci in tempo ad avvertire gli allievi. Giunti in casa all'ora solita per la lezione, essi trovarono mio zio Oreste, falegname, il quale li avvertì della mia partenza e si offrì di sostituirmi per quel giorno. Evidentemente gli spiaceva di rimandarli indietro così, senza alcun costrutto.
Michelino "La Tosca" prese la cosa in burla.
– Mastr'Orè...! Beh...! – esclamò allegro e ironico. Quel "beh...!" voleva dire tutto: Mastro Oreste che si mette a fare scuola...!. La cosa sapeva proprio di barzelletta.
Gli altri allievi, dietro a "La Tosca", sbottarono a ridere e due o tre di essi, come mi raccontò dopo lo stesso zio Oreste, si piegarono in due, presi da un irrefrenabile accesso di riso.
Per niente suggestionato, mastro Oreste cominciò la lezione, nel corso dalla quale gli stupefatti allievi si avvidero che l’improvvisato sostituto era un ottimo insegnante, anche meglio, almeno sul piano delle considerazioni pratiche, del titolare.
Gli allegri scolari della scuola artigiana non sapevano che mastro Oreste, ai suoi tempi, aveva frequentato, e con molto profitto, due classi di scuola tecnica, che allora era scuola di tutto rispetto. Se avesse fatto un'altra classe, diceva qualche volta, durante la prima guerra mondiale avrebbe fatto l'ufficiale. Ma la famiglia aveva dovuto ritirarlo dagli studi e avviarlo all'arte, come si diceva, per mancanza di mezzi.
(1983)
Domenico D'Andrea
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