Agnone, 7 novembre.
Quando dal valico di Vastogirardi, che divide il bacino del Trigno da quello del Sangro, si scende in tenimento di S. Pietro Avellana, e propriamente nella "Piana della Valle", attraversata dal filo tortuoso della Vandra, l'affluente più montano del Volturno, è come se d'improvviso un sipario si alzasse davanti agli occhi per mostrare allo sguardo attonito un meraviglioso scenario: tanto diverso da quello che ci si lascia alle spalle.
Dal valico, sovrastato dal cono di Monte Miglio, si può ammirare palmo a palmo tutta un'ampia conca di un colore verde che cangia dallo smeraldo dei prati, al cupo dei boschi di cerro e di faggio che per centinaia di ettari ammantano i declivi dei monti che contornano la conca stessa: a destra, poi, ove la piana si restringe, si vedono le rovine di S. Pietro Avellana, nelle cui radure vanno sorgendo i nuovi fabbricati.
Paesaggio d'incomparabile suggestiva bellezza, anche se aspra ed un po' primitiva.
Nella piana della Vandra si ergono i caseggiati della "Stazione razionale di alpeggio", una delle cinque esistenti in tutta l'Italia; ed ai piedi di Monte Miglio, stagliandosi sullo sfondo dei faggi, svetta l'alto fumaiolo di uno stabilimento industriale, dalla cui sommità un filo di fumo, nero e denso, piegandosi al vento come un drappo, si allunga nell'aria disperdendosi in fiocchi sempre più radi.
È questa la fabbrica, la nuova fabbrica di laterizi di un molisano dalle mani incallite e dalla volontà di ferro: Ruggiero Santilli; e di essa diremo per dimostrare di che pasta e di che tempra è fatta la gente nostra.
Nel novembre del 1943 le truppe tedesche in ritirata sulla sinistra del Sangro, lasciarono sulla destra il solco della "terra bruciata". Fu raso al suolo S. Pietro Avellana, e della fabbrica di laterizi di Ruggiero Santilli non restò in piedi che il fumaiolo immane, cero spento, sovrastante cumuli informi di macerie. Quando il [...], paziente - sussultava quando metteva allo scoperto qualche parte dei sepolti macchinari - accatastava il legname delle travature - e così da mane a sera, tenace, puntiglioso, insensibile al morso del vento ed alla fatica deprimente. Sembrava una formica che si accanisse su di un mucchio di grano per portar via dei chicchi; ed una formica egli era nella proporzione delle ingenti rovine.
Quando i due figli Nicola ed Ercolino si accostarono al vecchio padre per scongiurarlo a trarsi dalle macerie e di smettere la pazzesca fatica, Ruggiero Santilli, la formica umana, li guardò fisso, con le mascelle contratte e, poi, netto e tagliente sibilò: «ricostruirò la fornace!».
Soggiogati da tanta volontà operante, i figli si unirono al padre nel lavoro immane: chiesero l'aiuto di qualche vecchio operaio della fabbrica: e scavarono, sgombrarono, riesumarono macchinari, eressero muri e sistemarono impiantiti: riattarono i condotti dei forni: e così dopo mesi e mesi di travaglio dei corpi e degli spiriti, un bel giorno dal camino della fabbrica di laterizi uscì di nuovo un filo di fumo, che sventolò nell'aria come una insegna di vittoria. A distanza di nove anni dalla distruzione, oggi, la fabbrica di laterizi, rinnovata negli impianti e nel macchinario, lavora a pieno ritmo, dando lavoro e pane ad oltre 60 operai.
Una modernissima escavatrice a carrelli dentati, rode l'argilla che dalle falde di Monte Miglio, una piccola Decauville trasporta e scaraventa in un frantoio. Di qui, ridotta in una umida e luccicante pasta, la buona terra viene compressa nelle forme, e dalle trafile sgorgano i mattoni, di ogni forma e dimensione, che dopo un adeguato prosciugamento vengono inghiottiti dai cunicoli di una modernissima fornace. Di fuori si alzano cataste di manufatti, che vengono irradiati in tutte le regioni circostanti.
Quando si contemplano le rovine dell'antistante stazione ferroviaria, e si considerano gli scheletri delle case del vicino paese, la ricostruzione della fabbrica sembra un miracolo: ed è in realtà un autentico miracolo, di tenacia caparbia, d'intelligenza e di fede.
E sembra di ascoltare un racconto di Jack London, quando i figli raccontano, fra l'altro, l'assalto del fisco e la reazione paterna.
Non ancora erano state ricoperte le nuove mura che a Ruggiero Santilli fu intimato il pagamento dei "profitti di guerra"! Egli fece presente che nulla più possedeva all'infuori delle rovine della fabbrica di laterizie e della casa di abitazione, e sollecitò che lo avessero lasciato in pace alla ricostruzione. All'invito, invece, seguì l'ingiunzione per ufficiale giudiziario, ed allora, proprio come si leggerebbe in un racconto di London, Ruggiero Santilli, perduto il lume della pazienza e della ragione, piombò come un bolide in un certo ufficio, e tanto sbraitò e tante ne disse che gli fu minacciato l'arresto!
Questo premio inusitato alla sua tenacia gli fu peraltro evitato da una successiva più umana considerazione: ma il buon Ruggiero Santilli afferma tuttora che quello fu l'ostacolo più duro a sopportarsi e superarsi.
Per la verità, uomini dello stampo di Ruggiero Santilli onorano grandemente il nostro Molise, perché essi ben costituiscono un esempio luminoso delle virtù insuperabili della nostra gente e stanno altresì ad ammonire i facili miracolisti della rinascita, che la volontà operante e la tenacia costituiscono la malta indispensabile per la ricostruzione.
Eugenio Jannone
Fonte: E. Jannone, Ricostruisce da sé la fabbrica distrutta alla maniera di Jack London, in «Corriere del Molise», Campobasso, 9 novembre 1952.
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