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  • Gli avanguardisti capracottesi alla gara nazionale di sci di Oropa

    Nelle recenti gare nazionali di sci di Oropa, indette dall'Opera Nazionale Balilla, concorsero due squadre di avanguardisti di Capracotta, in rappresentanza del comitato provinciale di Campobasso, così degnamente presieduto dall'egregio Cav. Maggiore Rabbito, il quale con mezzi adeguati provvide al perfetto equipaggiamento e finanziamento del viaggio. Nell'animata ed importantissima competizione scesero in campo circa 800 Avanguardisti, ordinati su 96 squadre, in maggior parte sciatori provetti, provenienti da tutta la cerchia delle Alpi, ove il forte esercizio dello sci è molto progredito, sia per la persistenza della neve per molti mesi dell'anno, sia per i meravigliosi campi nevosi su cui possono eseguirsi i più ardui cimenti. I nostri minuscoli Avanguardisti, guidati dal loro solerte ed infaticabile organizzatore prof. Ottorino Conti, presidente dello Sci-Club e del comitato comunale di Capracotta dell'O.N.B., riuscirono ad onorare l'Italia Centro Meridionale e il Comitato provinciale di Campobasso in generale, e la nostra piccola terra montana di Capracotta in particolare. Sulle 96 squadre concorrenti, la nostra prima squadra risultò 24ª e la seconda 36ª, orgogliose di trovarsi circondate, nella classificazione generale, dalle valorose squadre delle città della nostra magnifica chiostra alpina. Le nostre squadre furono ammirate per ordine e disciplina e per l'irreprensibile tenuta ed equipaggiamento. Al riguardo la "Gazzetta del Popolo" di Torino del 16 Febbraio scriveva: «Sorprende fra le squadre meridionali, quella di Campobasso che, stretta, serrata fra le forti ed agguerrite squadre del settentrione, riusciva a piazzarsi al 24° posto, mentre Aquila, si classificava al 32ª». I tempi differenziali furono i seguenti: la squadra classificata prima impiegò 37'5''2/5; l'ultima 95'17''1/5; la nostra prima squadra impiegò 45'43''1/5; essa destò la più favorevole impressione anche per il suo contegno militare, distinguendosi anche pel modo elegante e spigliato di correre in guisa da meritare dei tre premi stabiliti per lo stile, il secondo, poiché il primo fu attribuito a Torino, il secondo a Campobasso, il terzo a Trento. Perciò la giuria della gara assegnò alla nostra squadra un ricchissimo premio, cioè la splendida coppa, munifico dono degli esercenti di Oropa, pregevole opera d'arte, in superbo stile fascista, alta cm. 45, in argento su basamento di ebano. Alle prime trenta squadre, fra cui la nostra, classificate di prima categoria, fu assegnata una speciale medaglia. Nella gara individuale il nostro avanguardista Mosca Raimondo fu classificato 85° su 355 concorrenti e partenti e premiato con medaglia di vermeil. Nel complesso il Comitato Provinciale di Campobasso dell'O.N.B., può essere orgoglioso delle squadre di avanguardisti mandate ad Oropa a rappresentarlo. Ciò ad onore dei nostri giovanissimi sciatori, ma soprattutto del prof. Conti, che ha saputo ben organizzarli, esercitandoli proficuamente in un valido allenamento e guidarli opportunamente, infondendo loro lo spirito di una forte e nobile emulazione. Giovanni Paglione Fonte: G. Paglione, Gli avanguardisti capracottesi alla gara nazionale di sci di Oropa, in «Il Mattino», Napoli, 23 febbraio 1930.

  • L'arciprete Agostino Bonanotte

    (Capracotta, 5 agosto 1812 - 25 febbraio 1889) «Tra la fine del XVII secolo e gli inizi del XVIII secolo si insediò a Capracotta il primo nucleo familiare dei Bonanotte». Salvatore, il padre di Agostino, era un proprietario di greggi che probabilmente aveva visto aumentare la propria ricchezza all'indomani delle leggi eversive della feudalità. Il nostro Agostino, sesto di sette figli, dopo gli studi religiosi in quel di Trivento, venne nominato nel 1840 parroco di Montenero Val Cocchiara e, sette anni dopo, arciprete di Capracotta, dove restò in carica per ben 42 anni. Va eccettuato un periodo di vacanza, dal 1872 al 1876, durante il quale don Agostino emigrò negli Stati Uniti, sostituito nell'arcipretura dal fratello maggiore Giuseppe. L'utilissima monografia di Angela Caruso, discendente dei Bonanotte di Capracotta, fa luce su questo religioso e in parte chiarisce quali furono le cause del suo allontanamento, ossia uno «sconforto idealistico, sociale e, soprattutto, economico» in seguito alla confisca dei beni ecclesiastici da parte della nuova Italia, soprattutto per mano della cosiddetta Destra storica. In effetti il nome di Agostino Bonanotte è intimamente legato alle battaglie che, assieme ad Errico Campanelli (1811-1891), procuratore del Capitolo di Capracotta, condusse per difendere la collegialità della nostra chiesa. Dal saggio della Caruso emerge un Bonanotte ispirato da ideali liberali, antiborbonici, ma probabilmente le sue convinzioni non furono così nette, visto che mostrò servile deferenza nei riguardi di mons. Giandomenico Falconi quando quest'ultimo, inflessibile lealista, si ritirò a Capracotta. Anche per quanto concerne l'attivismo in favore della collegiata, alcuni osservatori non mancarono di mettere in dubbio il reale disinteresse dell'Arciprete. Sulla scorta della cronistoria pubblicata nel 1926 da Luigi Campanelli circa «l'avventurosa missione assunta dal Procuratore», emerge che fu don Errico e non don Agostino a riportare i maggiori successi in difesa del titolo collegiale della Chiesa di S. Maria in Cielo Assunta, almeno fino all'«iniqua confisca» del 1867. Finanche il pastore Luigi Ianiro e il calzolaio Vincenzo Labbate, amatori della poesia, dedicarono sonetti altamente celebrativi nei riguardi di don Errico Campanelli e piuttosto pungenti nei confronti di don Agostino Bonanotte, che rispose con evidente «musoneria». Francesco Mendozzi Fonte: F. Mendozzi, In costanza del suo legittimo matrimonio. Sociologia del popolo di Capracotta desunta dai registri dello stato civile napoleonico (1809-1815), Youcanprint, Lecce 2021.

  • Ermanno D'Andrea e la tracotanza del potere

    Ermanno D'Andrea è uno degli imprenditori più importanti e apprezzati del nostro Paese; opera nella meccanica di precisione con due aziende: la casa madre a Lainate, in provincia di Milano, e la D'Andrea Molise nata nel 2002 a Castel del Giudice, un borgo di soli 300 abitanti in provincia d'Isernia, che produce semilavorati per l'impianto lombardo. Negli anni si è segnalato per aver dato vita a un progetto imprenditoriale aperto e solidale, incardinato sulla responsabilità sociale dell'impresa, nel solco di una cultura che da Adriano Olivetti ha illuminato la strada della nostra modernità, ma che negli anni si è offuscata, passata al tritacarne di una crisi interminabile e complessa, che ormai minaccia l'esistenza del genere umano sul pianeta. All'atto costitutivo della sua formidabile azienda, fatta crescere sul genio e sul talento imprenditoriale del padre Marino, ha voluto che nello statuto fosse compresa una clausola per la quale una percentuale degli utili dovesse essere devoluta in beneficenza. «La sola cosa che non torna polvere in terra è la rettitudine di un uomo», ama ripetere Ermanno D'Andrea citando Zarathustra, e poi scandisce una massima del profeta iraniano vissuto misteriosamente ottocento anni prima di Cristo, che all'uomo che vuole essere signore del suo destino, impone «pensieri retti, parole corrette e soprattutto buone azioni», gettando un ponte metatemporale fra epoche e religioni differenti. Nel 2018 l'U.C.I.M.U., l'Associazione dei costruttori italiani di macchine utensili, robot e automazione, lo ha insignito del premio "Maestro della meccanica" amato e ambito dagli imprenditori del settore di tutt'Italia. L'anno scorso il Comune di Lainate, dove D'Andrea finanzia l'associazione La-Fra che opera a beneficio delle persone disabili e delle loro famiglie, gli ha attribuito il "Premio Galatea" «per la responsabilità sociale dell'impresa oltre che per la sua personale»; così si legge nella motivazione del prestigioso riconoscimento. Ancora in Lombardia, a Tradate, dando corso alla sua passione per l'astronomia, collabora con l'Osservatorio astronomico per la divulgazione della cultura scientifica. Ermanno D'Andrea ha scavato pozzi d'acqua e ha consentito la nascita di 13 scuole in Guinea Bissau, permettendo a circa 10.000 ragazzi africani di accedere all'istruzione di ogni ordine e grado. Ha finanziato una casa di riposo nel suo comune d'origine, Capracotta, e a Castel del Giudice, a pochi chilometri e al confine con l'Abruzzo dove, insieme al sindaco Lino Gentile, ha sostenuto un progetto di rigenerazione territoriale diventato punto di riferimento in Italia e in Europa. Fra gli altri riconoscimenti, Castel del Giudice ha ottenuto il premio "Angelo Vassallo" dedicato al sindaco di Pollica ucciso dalla camorra, il "Cresco Award" per la sostenibilità economica del micro modello di sviluppo al quale ha saputo dar vita; il piccolo comune molisano è sede degli Stati generali delle popolazioni appenniniche organizzati da Slow Food ed è stato individuato dalla Società dei territorialisti fondata da Alberto Magnaghi presso l'Università di Firenze, come buona pratica di rigenerazione territoriale e comunitaria. Il fecondo sodalizio col sindaco di Castel del Giudice ha favorito la nascita di una public company partecipata dai cittadini del luogo che ha rilevato e rilanciato l'attività della società agricola Melise, che coltiva 35 ettari di frutteto biologico, producendo mele distribuite a gruppi di acquisto solidale di Roma e Napoli, succhi di frutta e marmellate. Lo Sprar di Castel del Giudice ha accolto quattro famiglie africane che si sono integrate armoniosamente nella comunità locale corroborandone il fondamentale progetto di ripopolamento; è stata avviata la coltivazione della pregiata patata viola ed è in corso la selezione del luppolo per la produzione di birra agricola locale. Inoltre, in collaborazione con l'Università del Molise e con Legambiente, è stato inaugurato un "apiario di comunità" al quale prendono parte attiva 50 cittadini che produrranno miele dopo aver frequentato un intenso corso di formazione. L'incontro con Enrico Ricci, titolare di un'importante ditta di costruzioni di Castel di Sangro, per Ermanno D'Andrea e Lino Gentile è stato il viatico per realizzare il progetto di Borgo Tufi, un albergo diffuso con 100 posti letto, ristorante e centro benessere, nato sul recupero e la riqualificazione delle stalle e dei fienili abbandonati, al limitare del centro storico. Castel del Giudice, in un ventennio approssimato per difetto, ha dato vita a una rivoluzione garbata, civilissima, democratica, solidale e progettuale, che ha saputo diventare esempio e laboratorio per un territorio assai più ampio del piccolo confine molisano. D'Andrea si è fatto costruire una casa nella pertinenza della sua azienda a Castel del Giudice, proprio di fronte alla Melise; vi si reca appena gli è possibile per riprendere fiato e tornare nel suo Molise e nella sua Capracotta. L'ho incontrato domenica 26 gennaio a Borgo Tufi, nella sala di disimpegno del "Tartufo Bianco", il ristorante dell'albergo diffuso, mentre erano in corso le votazioni per il rinnovo dei Consigli regionali della Calabria e dell'Emilia Romagna. Un occhio alla televisione che trasmetteva in diretta la partita dell'Inter (è garbatamente interista) e poi un ragionamento fitto, appassionato, in bilico fra crisi della politica, corruzione del linguaggio, informazione di parte e senza coraggio, citofoni e sardine. «Quest'anno compio 75 anni e 55 li ho dedicati al lavoro; a risolvere problemi, a realizzare progetti con l’aiuto degli straordinari collaboratori che ho incrociato sulla mia strada e dei miei figli Maria Pina, Marino ed Amedeo, col pensiero ad operare anche nel sociale, perché la vita non è un progetto solitario, ma la si realizza insieme agli altri» con umiltà e concretezza, come recita la massima cristiana fondamentale. «Ho avuto la fortuna di nascere in un ambiente sano, di attingere all'insegnamento degli innumerevoli maestri che ho incontrato; alcuni con nomi di prima grandezza, altri sconosciuti che mi hanno colpito per la loro perizia, per la loro quotidiana rettitudine». Non fa sfoggio dei suoi clamorosi successi Ermanno D'Andrea; si schermisce con ritegno umanissimo, rifuggendo dall'eclatanza assolutamente motivata che deriva dal suo impegno imprenditoriale, sociale e civile. «Una cosa però non posso fare a meno di chiedertela...» gli dico quando già si preparava l’ora del ritorno a Campobasso dalla effervescente Castel del Giudice. «Dimmi, dimmi pure...», mi risponde con aria cortese e accondiscendente; «di Salvini, del capitano leghista che ormai imperversa al sud e anche nel nostro Molise, che cosa ne pensi?». Abbassa gli occhi in terra e corruga la fronte come per raccogliere e ordinare pensieri che covava da tempo: «Salvini è tracotante; fa strame delle regole e del buonsenso con un'improntitudine che imbarazza. La tracotanza infastidisce sempre, ma quando diventa il costume di un uomo di potere, allora è davvero insopportabile. Il precetto fondamentale di Zarathustra imponeva pensieri retti, parole corrette e azioni buone; Salvini pervicacemente, con tracotanza ripeto, si comporta in modo avversario a questi fondamentali insegnamenti morali, e questo per un uomo politico rappresenta un vizio davvero irrisarcibile, denso di pericolose conseguenze». Lo saluto e mi riavvio verso casa accompagnato da un pensiero intenso e civilissimo; mite e fecondo nello stesso tempo. Antonio Ruggieri Fonte: https://www.ilbenecomune.it/, 31 gennaio 2020.

  • Amore e gelosia (XXXIII)

    XXXIII – Cucchié, firme sta carrozza, famme scennere, aggia parla' nu poche cu don Alessandro! Così disse don Salvatore rivolgendosi al vetturino con piglio tra l'autoritario e l'amichevole. – Subite, don Salvató, ai vostri ordini, vuie site 'o padrone! – fece l'uomo a cassetta, e con un grido tipico dei cavallari, «Iiihhh!!!», rivolto all'animale, tirò forte le redini e la carrozza si fermò, consentendo a don Salvatore di scendere mettendo i piedi attentamente sul predellino di metallo che conduceva giù dalla vettura. Don Alessandro aveva finalmente riconosciuto don Salvatore Di Giacomo. All'inizio era rimasto perplesso e impaurito sentendosi apostrofare: ogni volta che veniva a Napoli, si inoltrava per le strade sempre con un pò di timore, era pur sempre una città pericolosa, piena di mariuncielli e di uappetielli. Ma confidava nell'abito talare, era un prete, anzi un diacono, quasi un monsignore, e il popolino aveva conservato un rispetto per gli uomini in nero della chiesa, infatti non era mai stato infastidito da chicchessia. "E così il grande Salvatore Di Giacomo mi vuole parlare! chisà che me vò dicere? certamente coccosa che riguarda Elisa... È da parecchio che non lo vediamo a Nucera Inferiore, chiste 'e duie nnammurrate s'hanne sferrate, è succiese n'appiccica... e pe fforze! 'o tiempe passe e stu napulitane nun parle 'e se spusa', se ne sta a casa soia cu mammà e 'a povera peccerella a Nucera aspette 'e commode suoie! se se...", così elugubrava don Alessandro mentre l'altro uomo gli si avvicinava. – Don Salvatore! che piacere rivedervi! È da tanto tempo che non vi vediamo più a Nocera! propete ieri sera questo dicevo con donna Elisa... no, no, non Elisa la vostra fidanzata, con la nonna, donna Elisa Guarna! Era venuta in chiesa per pregare, poi, sapete come è, si parla, si discute, le figlie, 'e nipute, na parola tira n'ate... e notavamo che non si vedeva più, che Elisa, la nipote stavolta, stava scura scura... ma... è succiese coccosa? Ve site questionati? site tanta na bella coppia! ve vulite tantu bene! Il poeta aveva ascoltato tutta la tiritera con pazienza e in silenzio, ma quando sentì dire che la sua Elisa era «scura scura», decise di interrompere il prete. – Don Alessandro, e io propete 'e cheste ve vuleve parla'! No, nun è succiese niente... anzi no! È succiese che ce simme nu poche questionate e mò stamme fridde, ie nun vengo a Nocera e Elisa nun viene a Napoli e songhe più di quindici giorni che non ci vediamo! Prese un po' di tempo il poeta prima di fare la richiesta che teneva in mente. – Don Alessandro, se tratte 'e fa nu primme passo, ma ie songhe omme, l'orgoglio... sapete come è! – prese fiato di nuovo e proseguì – E pure Elisa... chella la ragazza io la conosco, tene na capa tosta! Come si può fare don Alessandro, ditemi voi! "Vuo' vede' che chiste mò m'addummanne 'e me mettere miezze, ma fa che me vò fa mettere 'e cazettine russe! Ie nun facce 'o ruffiane 'e nisciune!". – Don Salvatore, ma che prubleme è? Ma venite a Nucera, pigliamme 'o treno insieme mo mo, iamme a casa di Elisa e ve parlate! Tutto si risolve, basta essere umili e capire gli altri! – Don Alessandro, non lo posso fare! Io non mi sottometto a nessuno, neanche ad Elisa che è la vita mia! Vi volevo chiedere un piacere, ma se non ve la sentite, scusatemi tanto, non vi volevo offendere né tantomeno volevo che voi faceste 'o ruffiane mio! Si trattava solo di portare un biglietto, e... magari attendere una risposta… niente di più! Ma capisco, avrei abusato della vostra cortesia... scusatemi di nuovo e buona giornata... Il poeta si rimise il cappello in testa che per cortesia e gentilezza, come si usava a quei tempi aveva tolto e aveva tenuto in mano e fece per andarsene, lasciando lì il povero prete che non si aspettava una simile reazione... Francesco Caso

  • Capracotta e il suo Guinness dei primati

    Ma tu sai dove si trova Capracotta e perché ha un nome così... strano? Allora prima di spiegarti perché possiede un Guinness World Record devi conoscere queste informazioni importantissime. Prendi carta e penna e annota, sei pronto? Capracotta è una famosa località sciistica che fa parte della comunità montana dell'Alto Molise. È un piccolissimo borgo di soli 800 abitanti e si trova in provincia di Isernia molto vicina al confine con l'Abruzzo. Si trova a 1.421 metri sul livello del mare ed è una delle località più alte dell'Appennino. Insieme a Campitello attira tantissimo turismo invernale grazie al suo comprensorio costruito negli anni '90. Le origini del nome del borgo di Capracotta non sono certe. Ci sono diverse teoria e leggende che ti elenco qui di seguito, fammi sapere quella che secondo te è la più attendibile o che preferisci di più: Un vecchio studio ha sostenuto l'ipotesi che il nome provenga da due termini italici: kapp - luogo alto - e kott - luogo roccioso - che descrivono due proprietà del territorio cittadino. Un altro studio sostiene, invece, che il nome derivi da termini latini: castra cocta, cioè da una presunta presenza di accampamenti militari protetti da una recinzione, perché Capracotta sorge proprio in prossimità del tratturo. Un altro studio, ancora più interessante, sostiene che l'origine del nome derivi dalla tradizione religiosa dei longobardi di sacrificare una capra in onore del loro dio Thor e di mangiarne le carni come simbolo di prosperità delle fonti di sostentamento. Questo avveniva una volta che il gruppo tribale si insediava in un luogo appena conquistato. Questo studio è interessante perché giustificherebbe il nome "Capracotta" che è presente in altre regioni d'Italia che hanno subito conquiste longobarde. Una leggenda narra che alcuni zingari vollero costruire un villaggio e accesero un fuoco per arrostire una capra. Ma questa capra saltò sul fuoco e riuscì a fuggire. Nel punto in cui l'animale si fermò esanime, gli zingari decisero di stabilirsi. Non si sono ancora messi d'accordo ma è bello pensare che ci possano essere tantissime origini e studi diversi su questo strano nome. Ma il Guinness? Aspetta, aspetta, adesso ci arrivo. Prima devi sapere che Capracotta è una destinazione sciistica presa d'assalto da tantissimi turisti da svariate parti d'Italia, pensa che in una citazione di Alberto Sordi ne "Il Conte Max", Capracotta è descritta come una piccola Cortina d'Ampezzo. Infatti Capracotta è dotata di due impianti molto importanti, uno dedicato allo sci alpino, in località Monte Capraro, corredato di seggiovia, e un altro per lo sci di fondo che si trova invece in località Prato Gentile, ed è stato sede dei Campionati Italiani Assoluti di sci di fondo nel 1997. Il Guinness World Record è stato vinto nel 2015 perchè nel giro di 17 ore è caduta più di 2 metri di neve battendo il precedente record di Silver Lake in Colorado, negli Stati Uniti risalente al 1921 con 193 centimetri di neve in 24 ore. Americani, please, fate largo a Capracotta! Per questo se sei amante di sport invernali e ami la neve, questo è l'unico posto al mondo in cui devi recarti. Capracotta è una destinazione perfetta anche in primavera ed estate. Per gli amanti del trekking, Capracotta offre decine e decine di sentieri e percorsi con diversi gradi di difficoltà, distanze e dislivelli. Nelle vicinanze, in direzione Pescopennataro, sorge il Giardino della flora appenninica, un posto speciale e unico. Si tratta di un orto botanico ad alta quota dove è possibile ammirare numerosissime specie di fiori e piante locali: è il luogo ideale per passeggiate nella natura. Quando visitare Capracotta? Bè... è una bella domanda. Capracotta non ha stagioni, ha tantissimo da offrire sia d'estate che d'inverno. Ma se ti trovi nei paraggi del borgo ad agosto, non devi perderti la sagra della Pezzata. Si tratta della sagra della pecora bollita che si tiene ogni prima domenica di agosto. La tradizione di bollire la pecora risale alla pratica della transumanza che avveniva lungo il tratturo che attraversa il borgo. Quando un animale si feriva gravemente veniva ucciso e depezzato, da qui il nome della ricetta, e poi veniva cucinato. La carne di pecora viene cotta in pentoloni pieni d'acqua e, quando il grasso in eccesso viene a galla, si procede alla "schiumatura" per eliminarlo. Si aggiungono sale, patate e pomodori e si fa cuocere per almeno quattro ore. Nel 2014 questo piatto è stata inserito tra le "eccellenze" dalla rivista Gambero Rosso e non devi assolutamente perdertelo! Luciana Sciannimanico Fonte: https://www.moliseesiste.it/, 17 marzo 2021.

  • Il vescovo Giandomenico Falconi

    (Capracotta, 4 agosto 1810 - 25 dicembre 1862) Esiste una fitta bibliografia su mons. Giandomenico Falconi. La quantità di contributi su questo vescovo capracottese non è legata tanto alla sua missione pastorale, che pure fu incisiva, quanto al fatto di aver rappresentato - ideologicamente e cronologicamente - lo spartiacque tra il Regno delle Due Sicilie e il Regno d'Italia, tra l'antico feudalesimo borbonico e le nuove spinte unitarie. Diremo subito che Falconi fu sempre fedele ai Borbone e, in nome di quella fedeltà, fu costretto a lasciare la sua cattedra in Puglia per ritirarsi nella natia Capracotta. Figlio di un'antica e ricca famiglia capracottese che da generazioni serviva lo Stato, Giandomenico sentì presto la vocazione al sacerdozio. Segretario dell'arcivescovo di Bari Michele Basilio Clary (1778-1858), fu nominato prima arciprete e poi prelato di Acquaviva delle Fonti ed Altamura, nel cui seminario passeranno tanti personaggi illustri, da Baldassarre Labanca a Nicola Falconi. Nel 1853, in occasione dell'inaugurazione di un busto in marmo del re Ferdinando II, Giandomenico Falconi commissionò al maestro Nicola de Giosa (1819-1885) una cantata da eseguirsi durante la cerimonia e, «in una notificazione del 1854, consolò la propria comunità pastorale all'indomani dell'epidemia di colera del 1837 e indisse tre mesi di Giubileo». Nel 1858 il Falconi venne finalmente nominato vescovo titolare di Eumenia. Nel 1859 Ferdinando II, recatosi in Puglia per accogliere Maria Sofia di Baviera, sposa dell'erede al trono, ricevette ad Acquaviva un'accoglienza trionfale e persino lo storico Raffaele de Cesare, piuttosto critico nei confronti del Borbone, scrive che i preparativi erano stati impeccabili perché «Monsignor Falconi, direttore supremo delle feste e scrittore delle epigrafi, era sontuoso in tutto: nello stile, nelle immagini, nei conviti, nelle abitudini». Il re pernottò ad Acquaviva, nel palazzo di Giandomenico Falconi, proprio per la fiducia che riponeva nel prelato. Alla morte di Ferdinando, il vescovo capracottese scrisse un elogio funebre piuttosto pomposo, il cui incipit la dice lunga sul grado di lealtà verso il sovrano: «La vita di Ferdinando II è uno specchio di virtù. Da qualunque lato si guardi essa offre sempre lezioni di religione e di morale». Eppure in quell'elogio vi è un dato statistico che ci ha sorpreso, relativo al sistema giudiziario e carcerario, per cui tra il 1849 ed il 1856 il re aveva graziato 2.686 imputati e sospeso 12.723 processi per reati politici. «Dal 1856 al 1858 – scrisse mons. Falconi – le carceri rimanevano quasi interamente vuote». Subito dopo l'invasione piemontese il Falconi subì, assieme a 54 colleghi duosiciliani (su un totale di 65), l'ostracismo del nuovo regime. Lo storico Giambattista Masciotta sostiene che «la rivoluzione del 1860 afflisse profondamente mons. Falconi, anche perché i liberali non mancarono di sollecitarne dal governo il trasferimento, addebitandogli soprusi e maneggi in parte veri, in parte immaginarii». Fatto sta che il Falconi, dopo la capitolazione borbonica, si autoesiliò a Capracotta. Il 25 dicembre 1862, durante la Santa Messa di Natale, Giandomenico Falconi spirò, seduto sul suo scranno nella sagrestia della Chiesa Collegiata di Capracotta, mentre si preparava a concelebrare la funzione con l'arciprete Agostino Bonanotte, che poi gli dedicherà una raffinatissima elegia funebre in latino. Luciano Rotolo, lo studioso che per ultimo si è occupato della vicenda umana e politica del Falconi, scrive che «negli anni '60 del XX secolo la sua tomba fu aperta [...] in vista di una ventilata apertura della causa di canonizzazione ed il suo corpo fu ritrovato non solo incorrotto, ma inposizione seduta». Verità o leggenda? Francesco Mendozzi Fonte: F. Mendozzi, In costanza del suo legittimo matrimonio. Sociologia del popolo di Capracotta desunta dai registri dello stato civile napoleonico (1809-1815), Youcanprint, Lecce 2021.

  • Capracotta, un paese sospeso nello spaziotempo

    Capracotta, un nome, un perché! Insieme ad Oratino, di cui parlavamo qui, è un altro di quei paesi che - già solo con il nome - ci mette allegria ancor prima di visitarlo! Tutti sorridono al nominare Capracotta, che sembra derivare da "capra" e "cotta" nel senso di "seccato al sole", da una usanza dei pastori della zona per conservare la carne. La strada per raggiungere Capracotta, è un piacere per gli occhi e per lo spirito: Una miriade di tornanti con panorami tanto vasti da far respirare il cuore, nuvole basse che sembra di poterle toccare e vento, tanto vento... Calcolate che siamo a 1.400 m.s.l.m, in uno dei punti più alti degli Appennini, e il vostro minivan potrebbe sbuffare un po' su queste salite... prendetevi tempo e percorrete il tragitto senza fretta, che tanto Capracotta è lì, e vi aspetta. Come per tutti i piccoli centri abitati del Molise è impensabile entrarci col minivan, ma potrete sostare qui ed entrare con una piccola passeggiata in paese. Di Capracotta si hanno le prime notizie di insediamento umano datate intorno al I secolo d.C. grazie al ritrovamento di alcune capanne circolari ed edifici in marmi collocati in un contesto urbano ben strutturato. L'attuale paese di Capracotta, invece, nasce sullo sperone della Terra Vecchia nei primissimi decenni del Medioevo durante la conquista longobarda del Mezzogiorno d'Italia e si sviluppa nei secoli successivi attraverso la pratica della transumanza, cioè lo spostamento invernale di pastori e bestiame dalle alture dell'Abruzzo al Tavoliere delle Puglie. Quasi interamente rasa al suolo durante la seconda guerra mondiale dalle truppe tedesche in ritirata verso la Val di Sangro con il fuoco e la dinamite, è stata completamente ricostruita intono agli anni '50, e l'unica traccia rimasta oggi sono le antiche mura di cinta, spazio poi recuperato come fontana. Oggi Capracotta è una stazione sciistica con un impianto di risalita sopra il Monte Capraro, e mantiene viva la sua tradizione di posto di villeggiatura molto piacevole. Per i cinefili: in una citazione di Alberto Sordi ne "Il conte Max", Capracotta è descritta come la "Piccola Cortina d'Ampezzo degli Abruzzi". Capracotta detiene anche un record: ha battuto Silver Lake in Colorado per la nevicata più abbondante e rapida nel 2015 : più di due metri di neve in sole 17 ore! Sapevate che il Molise è la patria del tartufo? Una piacevolissima scoperta per noi, dato il Molise non era di certo nella lista delle regioni che associavamo a questo tubero così prezioso... e invece... Il Molise è uno dei maggiori produttori a livello nazionale, e che addirittura alcune regioni sembra si approvvigionino dal Molise spacciandolo per proprio... Tartufo bianco e nero, con la provincia di Isernia che - principalmente con i comuni di San Pietro Avellana, Carovilli e Capracotta - detiene il primato, seguita da Castelmauro e Bojano per quanto riguarda le provincie di Campobasso. Ci siamo domandati se tutto questo non sia pubblicizzato per preservare la "preziosità del territorio": eppure non mancano le sagre e una mostra mercato che si tiene a San Pietro Avellana i primi di novembre. Proprio a San Pietro Avellana c'è un'esperienza tutta da provare che è il "Treno del tartufo bianco", un'iniziativa che unisce il viaggio fatto su un treno con carrozze d'epoca sulla cosiddetta Transiberiana d'Italia - la tratta Sulmona-Carpinone - alla scoperta e degustazione proprio del tartufo. Certo, non è un profumo né un sapore che tutti apprezzano, ma per noi è pura goduria ed abbiamo voluto assaggiarlo proprio a Capracottoa, al ristorante L'Elfo. L'esperienza è stata sublime: la menèstra patan' (pasticcio di patate con pane raffermo, pancetta, tartufo nero e lenticchie) che ci presentano ha un aroma che è un vero inno alla gioia! Consigliatissimo accompagnarla con una bottiglia di Tintilia Bio del Molise e…dormire in loco! Michela Catenazzi Fonte: https://blog.togovan.com/, 30 settembre 2020.

  • Amore e gelosia (XXXII)

    XXXII Chissà se la figura del "mezzano" è ancora attuale al giorno d'oggi, e se il suo ruolo nella società ha ancora una ragion d'essere. Non parlo di chi svolge un lavoro di intermediario, anche se tutto sommato sempre di interposizione si tratta, tra due parti che per un motivo o un altro non trovano un accordo: 'o mezzane, oppure 'a mezzana, era una persona che favoriva gli intrecci amorosi, si metteva in mezzo, portava il bigliettino e attendeva la risposta, riferiva e spesso aggiungeva o sottraeva a seconda del suo giudizio, per favorire un matrimonio, per aiutare due amanti, per superare incomprensioni tra gli innamorati. Una figura indispensabile per quei tempi senza telefonino! Scherzi a parte, questo ruolo se lo assumevano un po' tutti: l'amica del cuore, il compagno fidato, la vecchia serva che in casa sa e vede tutto, la zia che ti ama più dei genitori e che ritiene suo dovere aiutarti a sposare il giovane innamorato che la famiglia non vuole, assolutamente. Spesso, anche il prete vestiva i panni del mezzano e con il placet di Dio e della Madonna dava una spinta ad una situazione in stallo, a qualche fidanzamento che non andava avanti, insabbiato tra divieti e sospetti. Il mezzano ha svolto un ruolo fondamentale nella società, fin quasi ai giorni nostri, e non sono sicuro che questa figura sia del tutto sparita: magari inconsapevolmente, ogni tanto ricompare e in un modo o nell'altro qualcuno ne indossa le vesti e aiuta un amico o una amica in difficoltà. Niente a che vedere comunque col "ruffiano"! Tutta un'altra cosa! Quest'ultimo è un termine quasi spregiativo, non a caso la fantasia popolare gli fa indossare i "cazettini rossi", per segnalarne la presenza vistosamente. 'O ruffiane insinua, intrallazza, imbroglia, si mette in mezzo non richiesto e i suoi scopi non sono mai del tutto chiari e volti al bene: ha sempre un secondo fine, dice, sdice e riferisce mescolando menzogna e falsità e... udite udite! quasi sempre è una persona con una delusione amorosa alle spalle, che finge di dare aiuto ma che cerca solo di travolgere nel fallimento dell'amore altre persone, meglio ancora se si tratta del suo migliore amico o la sua amica del cuore. Tutto questo per dire che i giorni scorrevano e né Elisa né don Salvatore si decidevano a fare il primo passo: soffrivano in silenzio ma facevano prevalere l'orgoglio, avrebbero voluto buttarsi l'uno nelle braccia dell'altro ma restavano lui a Napoli, lei a Nocera Inferiore. Col tempo, nonostante si amassero profondamente, il loro legame avrebbe potuto spezzarsi definitivamente, ed ora non saremmo qui a parlarne. Non accadde, e il merito fu del mezzano, che tra l'altro si ritrovò in questo ruolo ignorando completamente di stare sul punto di entrare nella storia di amore di Elisa e Salvatore con un ruolo simile. Camminava sveltamente per via Mezzo Cannone don Alessandro, poi imboccò il rettifilo e si ritrovò all'ingresso dell'Università di Napoli. Doveva andare alla stazione a prendere il treno per Nocera e c'era ancora un bel tratto da fare a piedi. Era andato a San Gregorio Armeno per i pastori per il presepio in chiesa. Niente aveva comprato ma si era fatto gli occhi, come si dice. Una carrozza lo affiancò e si fermò sul ciglio della strada, un signore sulla cinquantina seduto nel dietro scoperto della carrozza prese a guardarlo insistentemente, poi lo chiamò per nome: – Don Alessandro! Siete voi, vero? Francesco Caso

  • Cartoline di viaggio

    Il viaggio Capracotta-Campobasso è stato per anni la mia routine settimanale: di sabato a salire, di domenica pomeriggio a scendere. Ciò ha portato ad una conoscenza approfondita della strada, degli angoli e delle curve, sicché avrei potuto camminare ad occhi chiusi e la macchina avrebbe fatto il suo percorso senza difficoltà. Una qualsiasi domenica: mi lascio alle spalle il paese, Monte Campo, la Maiella, le alture di Roccaraso e vado incontro a Monte Capraro con i suoi sbuffi di nebbia, alla galleria verde di Vallesorda, al parco eolico che, stranamente, non offende l'occhio dell'ambientalista, situato com'è sui pianori sconfinati di Monteforte, battuti dal vento e dalle tempeste di neve. Arroccato su un'altura appare Vastogirardi, spesso avvolto dalla foschia; in lontananza le cime delle Mainarde, seghettate e spesso imbiancate, quasi un baluardo a difesa di questo suggestivo angolo di mondo, avvolto nel silenzio e nella solitudine. La strada prosegue verso Staffoli, un tempo distesa di verde, ora non più, infestata di capannoni, recinti per cavalli e tracciati per rodeo, un ristorante, a 1.000 m. di altitudine. Siamo scesi parecchio dai 1.421 m. di Capracotta. L'aria si fa più mite, la strada prosegue: un ruscello! Macché: quello è il Trigno, arriverà fino al mare. Corri, corri, fiume, l'Adriatico ti aspetta. Ad una svolta successiva appare un angolo di Svizzera: cosa sarà mai quel paesino ridente con la faccia rivolta al sole? È Carovilli con la stazione ferroviaria oggi in disuso, perché ramo secco. E chi l'ha seccato? Tra poco anche i nostri piccoli borghi saranno rami secchi e verranno cancellati dalla carta geografica. La strada prosegue, come l'ansa di un fiume, a sinistra la foresta di Pietrabbondante, poi boschi, prati, qualche casa colonica, un ristorante e via... verso Pescolanciano arroccato intorno al suo castello, ricordo di un tempo felice e prospero. Anche qui si rasenta un ramo secco. Il viaggio si arresta con la visione del Monte Totila... e con la galleria di San Venditto. Oltre non andiamo: il nostro Alto Molise si chiude nel suo bozzolo e non vuole contaminazioni. Gli altri non pensano a noi e noi, fieri delle nostre origini, tentiamo di escluderli per lo meno dalla nostra vista. Maria Delli Quadri Fonte: M. Delli Quadri, Il mondo di Maria, a cura di E. C. Delli Quadri, Youcanprint, Lecce 2021.

  • Il trampolino di Capracotta

    All'inizio degli anni '60 a Capracotta frequentavo la scuola elementare e una mia parente mi regalò un bel paio di sci da fondo che teneva conservati a ricordo di un suo fratello scomparso molto giovane, ottimo sciatore che con quegli sci aveva gareggiato sulle piste di fondo alpine. Qualcuno dei miei amici scoprì che era stato preparato da qualche sciatore adulto, e sicuramente esperto, un piccolo trampolino su una pista molto ripida a ridosso del Santuario della Madonna di Loreto, ed un pomeriggio un gruppetto di piccoli ed incoscienti sciatori fondisti, di cui facevo parte, andò a provare il "brivido" del salto al trampolino. Gli sci che portavo ai piedi erano molto lunghi, adatti ad un adulto, non certamente ad un bambino. Ma l'incoscienza era tanta e tanta era la voglia di provare a saltare. Presa la velocità, arrivai al trampolino, il volo fu corto ma disastroso. Atterrai con gli sci al cielo e la testa piantata nella neve. Fu la prima e l'unica volta che provai questa particolare e pericolosa disciplina sportiva invernale. Gli sci li conservo gelosamente, attaccati ad una parete dopo che negli anni passati li ho fatti restaurare per conservare i ricordi della fanciullezza, ed oggi fanno bella mostra insieme ad un bel paio di bastoncini di bambù degli anni Sessanta, anch'essi regalo di un mio parente. Antonio Vincenzo Monaco

  • Capracotta stazione climatica

    Col giorno 15 giugno sono stati riaperti nella fiorente ed ambita stazione di Capracotta gli Hotel Cimalte, Montecampo e Quisisana, decentemente ampliati e mobiliati, e riforniti con squisita ricercatezza di tutte le comodità della vita da gareggiare con i primari alberghi di città. I forestieri di nazionalità diverse, che tanto si avvantaggiarono negli scorsi anni nella salute dalle amene ed allegre passeggiate, dalle fresche e facili ascensioni sui monti boscosi, dall'esercizio della caccia e di altri sportivi divertimenti, non meno che dalla quiete ristoratrice e dalla cordialità degli abitanti, ritornano volentieri con entusiasmo, e scrivono presentando e raccomandando amici e conoscenti. Dalle richieste pervenute e dai fitti di private abitazioni per famiglie vi è da prevedere un largo concorso di nobiltà fiorentina, massime ora che il recente cambiamento di orari ferroviari, dovuto alle efficaci premure degli Onorevoli De Amicis e Falconi, ha reso celere, in sei o sette ore, i viaggi rispettivamente da Capracotta per Napoli e per Roma. Orazio Vietri Fonte: O. Vietri, Capracotta stazione climatica, in «La Provincia di Campobasso», XI:10, Campobasso, 23 giugno 1906.

  • Il bovaro Pietro Tisone

    (Capracotta, 19 giugno 1809 - 14 ottobre 1862) Nella Capracotta napoleonica del 1809 era impensabile che uno come Pietro Tisone, persona di umili natali, potesse essere l'iniziatore, seppur involontario, di un dibattito storico-archeologico che ancor oggi non smette di produrre suggestioni e teorie, chiamando a raccolta i nomi di eminentissimi studiosi, da Theodor Mommsen a Wilhelm Henzen, da Nicola Corcia a Luigi Pigorini, da Joshua Whatmough a Edward Togo Salmon, da Adriano La Regina a Valerio Cianfarani. Pietro Tisone è infatti colui che nel 1848, dopo oltre duemila anni, riportò alla luce la cosiddetta Tavola Osca, una lastra di bronzo del III secolo a.C., rinvenuta presso la Fonte del Romito, appartenente al popolo italico dei Sanniti, nella quale è descritto il sacro recinto dedicato alla dea Cerere e le festività sacre, le cerimonie e i sacrifici che si celebravano in un vicino santuario. Registrato dall'ufficiale di stato civile nella variante cognomica Tesone, questo modesto lavoratore ha subito le più disparate manipolazioni. Se quella di Antonio de Nino, che parlò di «un Pietro Tirone, bifolco del sig. Giangregorio Falcone», fu probabilmente una svista, lo stesso non può dirsi nel caso di Francesco Saverio Cremonese, che non menzionò affatto il nome del ritrovatore nella sua lunga e circostanziata notizia inviata all'Istituto di Corrispondenza Archeologica, per non parlare della spudorata affermazione di chi, come Giuseppe Gamberale, sostenne che «nessun Tisone risulta mai nato o residente in Capracotta». Per fortuna il dott. Vincenzino di Nardo, sul finire dello scorso anno, ha dato alle stampe una interessantissima monografia sulla Tavola Osca nella quale descrive, con dovizia di particolari, il luogo e le circostanze del ritrovamento, denunciando il furto di paternità perpetrato negli anni e le possibili macchinazioni che portarono alla vendita del manufatto - l'originale o forse la sua copia - al British Museum di Londra. E grazie a un articolo di Costantino Castiglione apparso su "Il Mattino" di Napoli nell'ormai lontano 1937, possiamo leggere la testimonianza di Giangregorio Falconi, proprietario della terra in cui stava la Tavola Osca, fedelmente contestualizzata al periodo: In una sera dell'autunno 1848 il bovaro Pietro Tisone da Capracotta, che era al servizio del Falconi, si recò da lui e gli disse: – Signor padrone, arando oggi il terreno sopra alla masseria presso il vallone di Fonte Romito, il vomere ha urtato e messo alla superficie questo mattone di metallo. Il Falconi esaminò il mattone, si assicurò che non era d'oro e disse al Tisone: – Posalo sul camino perché dopo vedremo di che cosa si tratta. Intanto nel paese e dintorni si sparse la voce che il mattone fosse d'oro non ostante che gli orefici l'avessero smentito. Dopo pochi giorni si vide arrivare a cavallo il signor Francesco Saverio Cremonese, suo caro compare di Agnone che dispensò molti dolci ai piccoli figli del Falconi e dissegli: – Compare, ho saputo che il tuo bifolco ha trovato un pezzo di metallo nelle tue terre della Macchia. Per curiosità, me lo fai vedere? Il Falconi andò a prendere il mattone. Frattanto scese in cucina per far preparare il caffè. Sul tavolo ove il Cremonese faceva le sue osservazioni, aveva posato in precedenza una scatola di legno di circa quaranta centimetri di lato e cinque di altezza, contenente fogli di piombo per calchi. Rientrò il Falconi proprio al momento in cui il compare aveva disteso un foglio di piombo sul mattone per farvi incidere i segni impressi. Ma l'ospite si affrettò a far rilevare che avrebbe fatto decifrare da persone competenti quei segni. Il Falconi non dette alcuna importanza al calco eseguito. Il Cremonese ripartì e tornò dopo una decina di giorni, recando in dono diversi oggetti d'oro alle figliuole del Falconi, al quale chiese poi il mattone per un miglior esame che avrebbe affidato ad abili amici di Napoli. Nessuna difficoltà per la consegna e non se ne parlò più. Il Cremonese fece come aveva detto. Ma il mattone passando di mano in mano, ne trovò delle poco scrupolose, che ne fecero commercio. E si seppe poi che era stata venduta per trecento ducati [...] Gli anziani guardaboschi del paese che avevano avuto occasione di conversare col bovaro Tisone confermano i fatti. Pietro Tisone aveva sposato Maria Rosaria Venditto, che gli diede quattro figli: Maria Vincenza, Loreto, Angelarosa e Maria Sebastiana. Egli «passò agli eterni riposi» a 53 anni, nel pieno delle forze, e risulta «seppellito in questa Madrice Chiesa». Di certo nessuno potrà mai negare che son state le «callose mani dell'aratore, per la storia, Pietro Tisone» a regalare all'umanità quella piccola iscrizione bronzea che parla di com'eravamo prima di Gesù Cristo. Francesco Mendozzi Fonte: F. Mendozzi, In costanza del suo legittimo matrimonio. Sociologia del popolo di Capracotta desunta dai registri dello stato civile napoleonico (1809-1815), Youcanprint, Lecce 2021.

  • Anniversario della Vittoria

    Ad iniziativa del R. Commissario della Sezione Fascista, avv. Eugenio Iannone, l'anniversario della Vittoria fu festeggiato con solennità. Vicino all'artistica lapide di bronzo sulla quale sono incisi i nomi dei nostri gloriosi caduti, fu eretto l'altare per la celebrazione di una Messa di requiem all'aperto. Alle ore 10:30, terminato il suono delle campane, sul posto della commovente cerimonia erano già riuniti la Sezione Fascista e la Milizia, le autorità civili e militari, gl'insegnanti e le suore dell'asilo infantile con le scolaresche e vessilli, le società Operaie con i labari. Accanto alla lapide erano i genitori, le vedove e gli orfani dei morti in guerra. Erano presenti anche le Autorità, fra cui l'avv. Ottorino Iannone, comandante la 1a Coorte, insegnanti ed alunni, venuti da S. Pietro Avellana. La messa fu celebrata dal Tenente Cappellano, rev. D. Nicola Sammartino, di Agnone, decorato di guerra, il quale pronunziò uno splendido discorso, rievocando episodi di guerra e tratteggiando la grande figura del Duce Mussolini come persona designata dal Cielo per salvare la Patria dai pericolosi nemici interni, e per renderla degna dei suoi alti e intangibili destini. Prese poi la parola il R. Commissario, che salutò e ringraziò gl'intervenuti, accennando alla prossima inaugurazione del Parco della rimembranza, ed in ultimo il Segretario Politico dottor Filiberto Castiglione ricordò i nomi dei settantaquattro morti. La bella cerimonia si chiuse con canti patriottici, e con interminabile corteo, il quale preceduto dalla musica percorse le principali vie del paese. Guglielmo Labanca Fonte: G. Labanca, Echi molisani, in «Eco del Sannio», XXXII:11, Agnone, 8 dicembre 1925.

  • Amore e gelosia (XXXI)

    XXXI C'era tanto amore fra i nostri due protagonisti. Eppure non bastò. Tornato a Napoli, don Salvatore si immerse nella sua vita tumultuosa, da artista. Si alzava di mattina presto, si vestiva e poi si ritrovava puntualmente al caffè Gambrinus per una veloce colazione e una nuova tazza di caffè oltre quella già presa a casa con mammà: la seconda era con gli amici e con gli ammiratori. L'atmosfera era quella di sempre: cordiale, quasi goliardica, tra l'ammirazione dei fans e l'invidia neppure troppo celata di qualche altro poetucolo che magari lo ricercava per stargli accanto e risplendere un po' della sua luce. La giornata passava alla svelta tra la biblioteca nazionale, il pranzo consumato quasi sempre in qualche trattoria e successivamente il teatro, dove il drammaturgo suggeriva, decideva e si barcamenava tra attori e attrici e sopratutto attricette in cerca di un ruolo e di un po' di notorietà. Era una bella vita, tutto sommato, e le giornate si concludevano immancabilmente a casa di qualche ricca famiglia della Napoli bene che ci teneva ad avere come ospite il poeta napoletano più celebrato di quei tempi. E poi vi erano le lunghe conversazioni col grande filosofo, la punta della cultura napoletana, Benedetto Croce! Era stato tra i primissimi a comprendere la grandezza di don Salvatore e molto aveva contribuito a farlo conoscere in tutto il Regno d'Italia. E non solo il filosofo: tra i suoi migliori amici c'erano Scarfoglio e sua moglie Matilde Serao, le vere anime pulsanti del fervore culturale che pervadeva la città in quegli anni. Non c'era una iniziativa che non partisse da loro due e stavano per varare un nuovo giornale, "Il Mattino", che sarebbe assurto alla dignità di giornale nazionale. Insomma, don Salvatore aveva mille frecce al suo arco da scoccare, e mille modi per dimenticare Elisa. E tentò di farlo: non le scrisse, né cercò di informarsi di lei, e nemmeno prese quel treno la mattina dopo, come aveva deciso, per andare a casa di Elisa e avere una spiegazione per capire. Aspettò e fece scorrere i giorni... Sull'altra sponda, nel paese di Nocera Inferiore, Elisa viveva anche lei la situazione che si era creata, cercando di far passare le ore velocemente, ricercando compagnia e svago e le occupazioni più varie. In questo la madre e le cugine l'aiutavano molto: c'erano sempre nuove compere da fare, qualche abito da provare e in cucina qualche piatto nuovo da preparare. Il mondo delle donne di provincia a quei tempi era davvero diverso da quello delle donne di oggi: un abisso separava i due sessi che pure si ricercavano continuamente, ma fondamentalmente i contatti avvenivano in maniera sporadica, quasi sempre pubblici e sotto gli occhi sospettosi e vigili di genitrici o balie sempre pronte ad intervenire. Le donne vivevano nel loro mondo di donne sognando gli uomini, e il matrimonio! Ecco, la meta agognata da tutte le fanciulle perbene e benestanti dell'epoca era il matrimonio, il velo bianco, e il raggiungimento di una nuova famiglia, col maschio dominante che lavorava e assicurava benessere e la donna sottomessa che esercitava il suo ruolo di angelo del focolare in casa, pronta di notte a concedere i suoi favori al marito, sempre sottomessa e docile, come mammà consigliava tra sussurri e bisbigli, nella complicità madre-figlia. Ma Elisa non voleva tutto questo: lei rifiutava la sottomissione e quel mondo al femminile di provincia. Aveva ceduto al volere della madre e si accorgeva ora di avere sbagliato: tutto le stava stretto ma... come rimediare? Francesco Caso

  • Una gallina per sposarsi a Capracotta

    In un documento del 9 settembre del 1737, è riportata la richiesta del delegato della Regal Giurisditione al preside e alla Regia Udienza di Lucera in riferimento al pagamento del diritto di matrimonio a Capracotta. Non c'è nel "Libro delle memorie" il documento che certamente l'Università di Capracotta inviò al delegato suddetto ma dal corpo della lettera si comprende chiaramente che fu segnalato che la curia vescovile aveva di sua iniziativa modificato il pagamento del diritto di matrimonio. «Per inveterato solito non abbia altro pagato per diritti di matrimonio, il contraente, se non essendo povero, all'Arciprete di detta Terra di Capracotta una gallina, ò il prezzo di quella, ed essendo benestante carlini 5 per la messa, la quale dal povero si contribuiva anche ciocché le sue forze lo permetteva»: vale a dire che per consuetudine il povero non pagava nulla, chi non era povero dava una gallina e quello che poteva secondo le sue finanze, mentre il benestante dava 5 carlini. «Ma ciò non ostante da alcuni anni a questa parte, contro la forma di inveterato solito e del dovere, habbia la Curia Vescovile di Trivento gravato gli suoi cittadini con esiggere per diritto di ciascun matrimonio carlini 27 cioè tredici e grana cinque la detta Curia ed il rimanente l'Arciprete di detta Terra». Non sappiamo quanto valesse all'epoca una gallina, probabilmente meno della metà dei 5 carlini che versava complessivamente il benestante; di conseguenza il malumore dei cittadini, in massima parte poveri, dovette indurre l'Università a segnalare la nuova tassa come un sopruso che probabilmente limitava anche i matrimoni. Facendo istanza per gli rimedij opportuni: Ho stimato bene di incaricare alle Signorie Vostre con questa d'informarsi estragiudizialmente dell'esposto, e ritrovando che veramente al solito sia stato, come mi si rappresenta, facciano le SS. VV. sentire in nome della Regal Giurisditione così alla curia Vescovile di Trivento come al detto Reverendo Arciprete, che si astenghino dall'esattione dell'espressato indebito diritto e non insinuino niente contro la forma del solito suddetto per non dar merito nel caso contrario ad imparazzi Giurisditionali. La lettera conclude invitando il preside e la Regia Udienza di Lucera a indagare e, in caso di rispondenza al vero della consistenza della consuetudine, di intimare sia alla curia che all'arciprete di esigere tal indebito balzello per non incorrere in imbarazzi giurisdizionali. Come andò a finire la questione? Il 25 aprile del 1739, il funzionario regio Oratio Rocca intimò, in nome del sovrano, alla curia di Trivento di astenersi da qualsiasi aumento della tassa matrimoniale. Il vescovo si giustificò asserendo che aveva applicato la tassa innocenziana, che però non era stata permessa nel Regno di Napoli. E così fu costretto a rinunciare ai 20 carlini per la curia vescovile e gli sposi continuarono a pagare 5 carlini e... una gallina! Nel consiglio pubblico del 28 febbraio 1745, infine, tutti i cittadini capracottesi presenti e gli amministratori locali, stanchi di anni per le continue liti con il vescovo di Trivento, decisero all'unanimità di accettare «il concordato fra questa Università e Monsignor Vescovo di Trivento à doversi togliere le liti su li punti de diritti de matrimoniali [...] et annullare tutte le Procure, et altri fatti per tali controversie». Per i diritti matrimoniali fu accettato che si pagassero 13 carlini e mezzo risparmiando la vita così a molte galline! Domenico Di Nucci Fonte: https://www.altosannio.it/, 22 ottobre 2019.

  • Pel trasloco del Pretore Martella

    Capracotta, 7 maggio. La sera del 25 aprile scorso, nelle sale di questo Circolo d'Unione splendidamente illuminate a gas acetilene, si dette il banchetto d'addio all'egregio avv. Martella Goffredo, pretore di questo Mandamento, traslocato con recente decreto all'importante pretura di Lanciano. Fu una spontanea e sincera dimostrazione di affetto che le autorità ed in gentiluomini tutti del paese vollero fare al carissimo giovane il quale, per lo spazio di quattro anni, tanto si fece ammirare per la sua bontà, l'integro carattere e la rara dottrina. Ottimo il menù e riuscitissimo il banchetto. Brindarono l'avv. Falconi M., l'avv. Conti Ottaviano, l'avv. Carugno, il cav. Castiglione, il prof. Pivelli, il dott. De Palatis ed Armani, Nestore Conti, per gli studenti universitarii e Sirio Alfredo pel comitato. Ringraziò commosso l'avv. Martella, dolentissimo di dover lasciare tanti cari amici. All'ottimo magistrato giungano gli augurii di lieto avvenire. Oreste Conti Fonte: O. Conti, Pel trasloco del Pretore Martella, in «La Provincia di Campobasso», IX:10, Campobasso, 19 maggio 1904.

  • Al tempo dei bagni nel Verrino

    Verso le sette del mattino, passeggiavo, fumando, lungo le sponde del fiume, quando da un poggiuolo, che si levava a cavaliere sulla limpida corrente, vidi un grosso e folto cespuglio ed ebbi vaghezza di andarmi a sedere fra quegli alti virgulti e quell'erba folta e molle che avriano certamente nascosto il mio poco sviluppato individuo, dandomi, così, agio di osservare, non veduto, i dintorni e scoprire le bellezze degli ameni vigneti che si stendevano a perdita d'occhio. Ed ecco, da un vicino casino vedo scendere due giovani e simpatiche donne che vengono a bagnarsi in una vasca del fiume, proprio sotto i miei occhi veggenti ed invisibili nel tempo stesso. Che fare? Andar via? Avrei fatto arrossire le inconsapevoli bagnanti. Restare? E che mi avrebbe detto la morale, la morale a cui credo che resti ancora qualche significato? Né l'una cosa, quindi, né l'altra, e resto lì, accoccolato e muto, chiudendo ermeticamente gli occhi. Entrate le donne nel fiume, dopo essersi alquanto divertite a scherzare coll'acqua e coi ciottoli, cominciano un benedetto discorso che piglia le mosse dal Santuario di Casalbordino e finisce nientemeno che all'amore dei rispettivi mariti. – Il mio – dice una mi ama ancora come il giorno in cui mi diede l'anello nuziale. – Il mio – risponde l'altra – mi ama anche di più, perché ogni di più va scoprendo in me pregi e bellezze che difficilmente si trovano in altre donne. La prima, punta un po' nell'amor proprio, prontamente ed arditamente risponde: – Questo è falso: se fosse vero, tuo marito ti avrebbe spontaneamente permesso il divertimento dei bagni, senza aspettare che glielo imponesse il medico, a tua viva premura. E la seconda, punta ancor più dalla smentita, fieramente esclama: – Mio marito non voleva mandarmi ai bagni, per non privarsi della mia presenza che tanto gli è cara: tuo marito, invece, ti ha consigliata, esortata, spinta quasi per forza ad uscir di casa, per godersi comodamente la compagnia della compiacente canzonettista napoletana che trovasi da più giorni nella nostra città e che... A queste inaspettate parole, la donna che si crede tradita, dà un grido e, balzando dal fiume, si mette a correre all'impazzata ed in camicia: io non posso frenare un involontario movimento ed un attacco di riso che mi esce dai denti stretti come un sibilo: l'altra, credendo ch'io fossi un serpe che strisciasse e scendesse dal cespuglio, guizza anch'essa dall'acqua e, anche in camicia, si mette a correre verso la campagna e verso il casino, mentre l'umile e mortificato sottoscritto, riaprendo gli occhi, si mette ad osservare le prospettive... dei ridenti vigneti che si stendevano a perdita d'occhio! Don Burloncino Fonte: D. Burloncino, Al tempo dei bagni nel Verrino, in «Il Cittadino Agnonese», I:19, Agnone, 18 ottobre 1900.

  • Il magistrato Giambattista Campanelli

    Capracotta, 22 marzo 1809 - 5 febbraio 1888 Giambattista Campanelli appartiene a una ricca famiglia che, tra la seconda metà del XVII secolo e la prima metà del XX secolo, ha notevolmente influito sulla vita politica, religiosa e culturale di Capracotta. Un casato che nei secoli ha prodotto uomini di toga e di cotta, dal giureconsulto Alessandro Campanelli, rispettato al punto che «tutta una provincia pendeva da' suoi consigli», a don Liborio Campanelli, che «si rese benemerito della patria per le sue doti civili e cristiane». Il nostro Giambattista era il nono figlio di Giuseppe, medico che aveva studiato a Napoli presso l'eminente Francesco Serao (1702-1783) ma che aveva deciso di sospendere l'esercizio della professione per curare il patrimonio di famiglia. Giuseppe aveva più volte ricoperto la carica di consigliere provinciale, dirimendo molte cause di confine tra i comuni, e aveva sposato una sua parente, Maria Giuseppa Falconi, donna «avvenente e di santi costumi» che diede gran prova di sé quando il marito e il figlio primogenito vennero addirittura rapiti dai briganti. La sola fonte da cui attingere informazioni dettagliate sulla vita di Giambattista Campanelli è rappresentata dal "Cenno biografico della famiglia Campanelli di Capracotta", una biografia familiare che egli stesso pubblicò nel 1877 a Santa Maria Capua Vetere presso lo stabilimento tipografico Guttemberg. Nato prematuro, Giambattista non godé mai di buona salute, tuttavia compì lunghi studi e fece una brillante carriera. Incominciò a Capracotta sotto la direzione di Michelangelo Conti e di suo zio don Vincenzo, arciprete della nostra collegiata, ma a 12 anni si trasferì prima ad Agnone, con scarso profitto, quindi a Campobasso, ove proseguì con frutto lo studio della filosofia, del diritto e della matematica sotto la direzione del prof. Nicola de Matteis, il quale, destituito nel 1820 dal Collegio Sannitico a causa dei suoi sentimenti liberali, aveva ottenuto il permesso di insegnare privatamente. Terminata l'esperienza campobassana, la meta naturale per proseguire qualsiasi tipo di studi era Napoli, così Giambattista si iscrisse ai corsi universitari di Giurisprudenza, per poi conseguire la laurea. Incominciò la pratica forense con l'avv. Martinangelo de Martino (1782-1850), dotto autore delle "Note critiche sul diritto civile francese di Toullier", col quale lavorò per un biennio. Nel 1837 Giambattista Campanelli contrasse il colera, il terribile morbo che, oltre a mietere migliaia di vittime in tutto il Regno di Napoli, uccise anche due suoi fratelli. L'intendente provinciale del Molise, il cav. Domenico Antonio Patroni, scrive che «pochi siti di montagna furo aggrediti, e se vi è stato in qualcheduno di essi una forte invasione, come nel solo comune di Capracotta, ciò è derivato per cause estranee a la sua posizione». Fu l'avvocato e politico campano Filippo Teti (1835-1902), amico intimo della famiglia Campanelli, a convincere Giambattista ad iscriversi all'Avvocatura di S. Maria Capua Vetere piuttosto che a quella di Napoli, raccomandandolo in tal senso. Dopo un breve periodo come giudice supplente a Capracotta (1845), Giambattista tornò a Santa Maria, dove ricoprì la carica di giudice conciliatore per ben dodici anni, prima di accettare la definitiva nomina a vicepretore di quel Mandamento. Nel 1852 Giambattista Campanelli aveva sposato Adelaide Duracci, che gli aveva dato due figli, Marianna e Giuseppe. La prima morì nel 1867 ad appena 13 anni. Il papà, affranto, scrisse: «Difficilmente potrei descrivere la sua bellezza, la sua bell'indole, e l'animo nobile che aveva. Sembrava un angelo sceso dal Cielo, ed Iddio volle richiamarla a sé. La sua morte mi ferì nel più vivo del cuore, né il duole è attenuato, col decorso degli anni». Francesco Mendozzi Fonte: F. Mendozzi, In costanza del suo legittimo matrimonio. Sociologia del popolo di Capracotta desunta dai registri dello stato civile napoleonico (1809-1815), Youcanprint, Lecce 2021.

  • Corografia molisana: Capracotta

    I Capracotta: Comune del Napoletano, provincia di Molise, circondario d'Isernia, mandamento di Capracotta. Ha una popolazione secondo l'ultimo censimento (1862) di 2.838 abitanti (933 maschi e 1.905 femmine). La sua guardia nazionale consta di una compagnia con 130 militi attivi e 50 di riserva: totale 180 militi. La mobilizzabile è di 90 militi. Gli elettori politici sono inscritti nelle liste elettorali del collegio di Agnone, nel 1863 erano 48. Ha ufficio postale proprio, e giudicatura di mandamento dipendente dal tribunale di circondario d'Isernia. Pel dazio consumo è comune di quinta classe. Il suo territorio produce in abbondanza cereali, vino ed olio, e possiede una sorgente d'acqua sulfurea, riconosciuta salutare dagli abitanti di questo e dei vicini comuni. Il capoluogo è un grosso villaggio che giace in monte in luogo di buon'aria, 34 chilometri a greco di Isernia. Vi si tiene fiera dai 7 ai 9 settembre. Questo luogo, che trovasi ricordato sino dal tempi dei Normanni, fu posseduto in feudo da Andrea di Eboli, dai Cantelmi e dai Piscicelli. II Capracotta terra in contado di Molise in diocesi di Trivento, è lontana da Campobasso miglia 30, da Lucera 60, e da Trivento 16. La sua situazione è sopra di un monte, ove l'aria respirarsi molto sana. Tiene non però il territorio atto alla semina, ed al pascolo degli animali. Alla distanza di un miglio dall'abitato verso settentrione vi sorge un'acqua sulfurea, della quale fanno uso gli abitanti, e quegli altresì di altri luoghi vicini, per varie loro indisposizioni. Nello stesso uo tenimento vi sono i feudi di Macchia, di Lespinote, di Spedaletto, e di Monteforte, e nelle sue vicinanze anche il feudo delle Vicende piave. Vi è caccia di lepri, capri, voli, e similmente di molte specie di volatili. La medesima esistea nei tempi normanni, ma niuno monumento vi è, che riguarda la sua fondazione. Tralle molte terre, di cui investì il Re Alfonso nel 1457 Andrea di Ebolo, vi è quella di Capracotta come meglio si ravviserà nell'articolo di Civitanova. Nel 1648 si possedea da Aurelia d'Ebolo. Nel 1669 si possedea da Francesco Cantelmo. Passò finalmente alla famiglia Piscicelli. La sua popolazione nel 1532 fu tassata per fuochi 118, nel 1543 per 134, nel 1561 per 164, nel 1595 per 248, nel 1648 per 254, e nel 1669 per 183. Nel 1800 ascendevano al numero di circa 1.170 i suoi naturali, addetti per la maggior parte all'agricoltura, ed alla pastorizia. Vi è qualche commercio con altre popolazioni, a cagione dello smercio di quelle derrate, che lor sopravanza, e per provvedersi di ciò che ad essi manca. Vi è un ospedale. III Capracotta è tra i Comuni dei quali non possiamo dare altre notizie, per l'apatia con che sono state accolte le nostre richieste dalle persone cui ci rivolgemmo, appunto per avere le notizie segnate nella scheda compilata per la nostra Corografia. Pasquale Albino Fonte: P. Albino, Corografia molisana, in «Gazzetta della Provincia di Molise», VI:63, Campobasso, 18 agosto 1872.

  • Amore e gelosia (XXX)

    XXX Don Salvatore se n'era tornato a Napoli tutto risentito e deciso a non fare in nessun modo un primo passo per rimettere su la sua relazione con Elisa. Aveva avvertito subito che dietro le parole della giovane vi era molto di più di un impegno con sua madre a Capracotta: qualcosa non andava per il suo verso, ma d'altronde il suo orgoglio di maschio gli impediva di mettersi lì a chiedere, a cercare di capire. Come aveva detto Elisa? non verrò a Napoli? Bene, voleva dire che non si sarebbero visti per tutta la prossima settimana: e se avesse trovato altre scuse per quella successiva, bene così! E se... non osava dirselo... no, doveva! E se avesse continuato su quella strada, allora addio, meglio chiudere e avanti un'altra! Una fitta al cuore lo colpì, un dolore sordo che quasi lo stordì: come avrebbe fatto a resistere per una settimana senza la sua Elisa? A non udirne la risata cristallina, la sua voce squillante così femminile, a non venerare il volto tanto bello e a non lasciare che gli camminasse avanti per ammirarne le belle forme? Era in treno diretto verso Napoli, altrimenti avrebbe subito fatto marcia indietro e sarebbe corso da lei, ma non poteva. Dovette mettersi a guardare fuori dal finestrino il paesaggio che scorreva sotto i suoi occhi, mentre si interrogava mestamente su che cosa era successo tra lui e la sua ragazza, per giungere a quel punto... D'altra parte, neanche a Nocera Inferiore si viveva un bel momento: il tempo andava guastandosi e si era alzato un venticello freddo mentre l'aria si incupiva e sembrava volersi impregnare di pioggia. Ma Elisa non si rendeva conto di come il clima stesse mutando d'intorno a lei: se ne stava ritta sulla soglia della sua villa in campagna, con lo sguardo perso nell'aria cupa... Per la prima volta dopo anni aveva agito con slealtà nei confronti di Salvatore, il suo grande amore. Sì, perché lei lo aveva amato ancor prima di conoscerlo, lo aveva amato tramite la sua poesia scritta nei libri e le sue canzoni cantate dalla gente. Era entrata in quella mente così geniale e in quel cuore così appassionato e aveva deciso che solo lui era degno di lei. Ed ora, ecco che si serviva di parole false e bugie per sposarlo! Che cosa aveva fatto , come aveva potuto? Doveva rimediare subito, ora! "Mi vesto, vado alla stazione e corro a Napoli per farmi perdonare!" decise... poi ricordò che ormai non c'erano più treni prima dell'indomani. Restò sulla soglia mentre le prime grosse gocce di pioggia cominciavano a bagnare il prato e anche lei che non si riparava, le sembrava che quell'acqua fosse necessaria per pulirla di una bruttura che aveva commesso... Il treno giunse a Napoli e il poeta scese avviandosi verso l'uscita: pioveva a dirotto, sarebbe stato meglio aspettare che un po' scampasse prima di allertare un vetturino che lo conducesse a casa. Ma dissimilmente da come era solito fare, stavolta don Salvatore si inoltrò nella pioggia e si incamminò a piedi noncurante dell'acqua che gli scorreva addosso, dal cappello fino alle scarpe. Elisa lasciò la soglia e la casa sicura e si avviò nel giardino. L'acqua l'avvolse con l'impeto del vento che si era alzato e in un attimo si ritrovò fradicia: era quello che voleva, non poteva restarsene al sicuro in casa mentre il suo Salvatore chissà dove era, e chissà come stava soffrendo. Francesco Caso

  • Capracotta, aprile 1885: strada rotabile da Agnone a Castel di Sangro

    Capracotta, Aprile 1885. Il Consiglio Comunale di Capracotta, nella seduta ordinaria del 5 dello scorso mese, fu invitato a deliberare sull'importantissimo obbietto: «strada rotabile da Agnone a Castel di Sangro». Questa strada fu già approvata dalla Camera dei deputati, nella tornata del 10 Maggio 1881 col presuntivo della lunghezza in chilometri 26, e della spesa in lire 610 mila. Il Consiglio provinciale di Campobasso diede il parere che detta strada muovendo da Agnone attraversasse il territorio di Capracotta nelle contrade denominate: Passo della Regina, Peschete, Colle Carboni, Paduli, Monteforte, e quindi i territorii di Vastogirardi, e S. Pietravellana sino a Castel di Sangro. Ma il Comune di Pescopennataro reclamò, ed allora il Direttore del Genio Civile, e l'Ispettore provinciale proposero delle varianti che sollevarono parecchi incidenti, e s'ebbe per risultato che si dovettero inviare gli atti al Ministero dei Lavori Pubblici per le opportune risoluzioni. Forse a Maggio e Giugno prossimo verrà un Ispettore del Circolo a visitare le località, e ciò è nei voti di tutti. Il Consiglio Comunale di Capracotta; dopo lunga, pacata, e serie discussione; e ad unanimità di voti, deliberò quanto appresso: Di invitarsi l'ingegnere Signor Ottavio Sarlo a studiare la linea in discorso, e se per lontana ipotesi trovasse la strada Agnone-Capracotta-Castel di Sangro più lunga e svantaggiosa di quella Agnone-Pescopennataro-S. Angelo del Pesco, studiare l'altra linea Agnone-Capracotta-S. Angelo del Pesco. Pongasi ben mente che Capracotta sta già costruendo un'altra strada comunale obbligatoria che si dovrò prolungare sino ai territorii di Castel del Giudice, e S. Angelo del Pesco presso alla strada provinciale Sangrina, e già si sono costruiti circa quattro chilometri che il Comune sarebbe pronto a rilasciare a beneficio della intera linea provinciale. Questo sarebbe a giudizio spassionato la strada più economica e più breve che l'Aquilonia dovrebbe congiungere alla Sangrina; ma conviene far silenzio su quest'altro ordine di cose, ed alle persone dell'arte l'ardua sentenza. Far tenere copia legale della deliberazione al Signor Sindaco di Agnone con preghiera di farla appoggiare da quell'onorevole Consiglio perché esistendo tanta comunanza di interessi tra Capracotta ed Agnone vi sia anche, com'è da sperarsi, uniformità di voti. Quanto ho scritto sin qui è il sunto della deliberazione presa da questo Consiglio Comunale, ed ora a me il permesso di aggiungere qualche altra breve osservazione. Pescopennataro, con una fede ed una costanza degne invero di miglior causa, che non ha fatto per questa strada? Ha fatto stampare memorie; ha provato come è duro calle lo scendere e il salire per tutte le scale dei consiglieri, deputati, ed ingegneri di tutta la provincia, ha offerto a questa £ 52.000; ed in fine ha messo a viaggiare per tutte le contrade d'Italia una schiera di valorosi apostoli con la santa missione di predicare il verbo vero, ed usare qualunque efficacissimo mezzo per la completa conversione degli infedeli... Capracotta al contrario non ha fatto nulla di tutto questo; perché, oltre che sta dalla parte della buona causa, in qualunque tempo è stato sempre alieno di usare intrighi, e bassissime arti. Ora aspetta serenamente il suo fato. Il Consiglio Comunale, con patriottico pensiero e ad unanimità di voti, deliberò pure di sussidiare ogni militare nativo del paese destinato a far parte di qualunque spedizione coloniale. Il dì 14 Marzo, genetliaco di S. M. il Re d'Italia, venne festeggiato molto decorosamente. Come negli altri anni, alle ore dieci del mattino, fu cantato in Chiesa dal Capitolo un solenne Te Deum. Intervennero alla funzione il Municipio, Pretura, scuole, società operaie, Reali carabinieri, altre autorità e moltissimi cittadini del paese. Nella giornata furono elargite dalla Congrega di Carità, copiose elemosine, e così non potevasi festeggiare meglio l'Eroe del colera di Napoli. Ottaviano Conti Fonte: O. Conti, Corrispondenze della provincia, in «Aquilonia», II:7-8, Agnone, 16 aprile 1885.

  • Cronache da Capracotta

    L'illustre concittadino comm. Michele Giuliano per merito distinto è stato promosso consigliere di Cassazione. Al colto per quanto modesto Magistrato le congratulazioni e gli auguri vivissimi di tutti i capracottesi. È stata inaugurata la Sala - rimessa a nuovo - dello Sci-Club, con l'intervento di tutti i soci presenti nel paese, con una rappresentanza del gentil sesso. Fece gli onori di casa il presidente cav. Ottorino Conti, che offrì un vermouth inneggiando al Re ad al Duce. Attualmente questo Sci-Club conta ottantadue soci, di cui cinquantanove ordinari e ventitré sostenitori. Nell'Asilo Infantile fu festeggiata la Befana con l'intervento delle Autorità, famiglie dei bambini e cittadini. I piccoli eseguirono canti corali, recitarono poesie e dialoghi, e ciascuno ebbe in dono un grembiulino, dolci e cioccolattine. Una meritata lode spetta alla Superiora Di Primio ed alle Suore del Preziosissimo Sangue, che con ogni cura ed amore attendono all'educazione ed istruzione dei bambini. Per un corso di esercitazioni di dieci giorni, sono stati in Capracotta con i loro ufficiali i giovani fascisti sciatori della provincia di Chieti, salutati entusiasticamente, all'arrivo ed alla partenza, da questa ospitale e gentile popolazione. Il 26 gennaio scorso, approfittando della bella giornata, la Presidenza di questo Sci-Club fece svolgere le gare fra i soci, gare che pel pessimo tempo non potettero farsi il 13 dicembre, come dal calendario della F.I.S.I. Hanno fatto parte della Giuria, il presidente dello Sci-Club, cav. Ottorino Conti, presidente; il capomanipolo sig. Conti Pasquale, direttore di pista; il sig. Sammarone Arnaldo, segretario; il barone Ruggiero D'Alena, circonometrista. Ecco le classifiche: Seniores (gara di fondo, km. 12), iscritti 7, partenti 3, arrivati 3: Di Tanna Vincenzo; Angelaccio Edmondo; Conti Galliano. Juniores (idem), iscritti 8, partenti 4, arrivati 4: Di Rienzo Salvatore; Venditti Giacinto; Mosca Pasquale; Di Nucci Eliseo. Allievi (gara di discesa), iscritti 8, partenti 6, arrivati 6: Iacovone Nicola; Di Nardo Gino; Di Rienzo Marco Aurelio; Paglione Antonio; Angelaccio Pasquale; Sammarone Serafino. La scuola rurale della frazione Guastra è stata intitolata all'eroico caduto medaglia [...] Guglielmo Labanca Fonte: G. Labanca, Echi molisani, in «Eco del Sannio», XLII:1-2, Agnone, 14 febbraio 1935.

  • Risorge il Ginnasio di Capracotta

    L'idea di far risorgere a Capracotta un Ginnasio, che in altro tempo fece conseguire a molti giovani la licenza, se non potette trovar eco favorevole nell'appoggio materiale del Comune, a motivo che spende oltre £ 7.000 per l'istruzione elementare non doveva rimanere un vago desiderio in molti padri di famiglia, i quali, sapendo nei primi anni quanto è proficua nel proprio paese la scuola ai figliuoli sotto la loro immediata direzione educativa, si accordano agevolmente, e col concorso della benemerita Congregazione di Carità, gettarono nel Novembre p.m. le basi di questo Ginnasio, affidandone l'insegnamento al colto, volenteroso ed instancabile giovane Prof. Orlando Spagnuolo. Una commissione di competenti e disinteressate persone, scelta dai padri di famiglia, ha già fatto con rigorosa premura delle minute prove di esami semestrali,e d ha avuto parole di meritato encomio, tanto per l'opera diligente del Professore, che pel profitto deglis colari, i quali ottennero tutti una splendida puntazione. Non mancò - come incoraggiamento - una festa scolastica per la premiazione, con limitato invito (per questa prima volta) alle sole famiglie degli scolari, per evitare che costoro, non avvezzi ad esporsi in pubblico, avessero ad impappinarsi. Io che amo quanto me stesso il pubblico insegnamento, e che ho avuto anche la mia modesta parte nell'impianto di questo Ginnasio, mi rallegro di cuore col Sig. Spagnuolo e con gli scolari, e fo voto che la nuova istituzione, che desta oramai gli entusiasmi del paese, fornita man mano di altri Professori, abbia ad avere migliore sorte di quella che toccò al Ginnario 1872-76. Ma, spiegamoci, non deve in appresso venire meno un equo concorso del Comune! Ferdinando De Matteis Fonte: Interprete, Corrispondenza da Capracotta, in «Il Grillo», X:9, Isernia, 3 aprile 1895.

  • Capracotta, Natale da incorniciare

    Capracotta. Davvero un "bianco Natale" quello che in questi giorni stanno vivendo gli operatori del settore neve a Capracotta, dove da giorni si registra il "tutto esaurito". Impianti aperti dunque sulla "Vetta degli Appennini", la stagione sciistica si presenta nel migliore dei modi. Soddisfazione nell'Amministrazione comunale. Neve in abbondanza, temperature ottimali, impianti di sci alpino e di fondo aperti per la gioia di tanti appassionati delle discipline sportive legate alla neve. La stagione invernale, che a Capracotta significa poi presenza di numerosi turisti ed appassionati dello sci, alpino e di fondo, è partita alla grande. La neve caduta in abbondanza ha fatto tirare un grande sospiro di sollievo ai tanti operatori economici capracottesi. E che la neve sia una presenza fondamentale per l'economia del paese lo si è capito lo scorso anno, quando la stagione invernale è stata veramente magra sotto il profilo delle precipitazioni nevose. Un inverno da dimenticare, quello dell'annata 2006/2007, che gli operatori economici ma anche l'Amministrazione locale vogliono buttarsi definitivamente alle spalle. «Siamo estremamente felici per il ritorno in grande stile della neve – afferma il sindaco di Capracotta Antonio Monaco – che, non possiamo dimenticare, per la nostra economia rappresenta una grande risorsa cui Capracotta non può fare certo a meno. La presenza di tanta neve restituisce serenità ai tanti operatori economici che traggono sostegno dalla coltre bianca che, copiosa, è tornata ad essere regina incontrastata di queste montagne». Altrettanto soddisfatto delle nevicate dei giorni scorsi il vicesindaco, Tiziano Rosignoli, con delega allo Sport. «Questa neve è fondamentale anche in vista degli importanti appuntamenti sportivi che attendono la nostra stazione sciistica». I tanti appassionati degli sport invernali che in queste ore stanno affollando Capracotta, hanno anche la possibilità di poter godere di momenti di svago al di fuori delle piste grazie al ricco cartellone di eventi, di spettacolo, musica e cultura in programma nel piccolo comune altomolisano fino al prossimo 6 gennaio, giorno dell'Epifania. Sara Bartolomeo Fonte: S. Bartolomeo, Capracotta, Natale da incorniciare, in «Nuovo Oggi Molise», Villa S. Lucia, 27 dicembre 2007.

  • Chiamarsi Agostino a Capracotta

    A Capracotta il fratello di mio nonno si chiamava Agostino. Agostino Santilli. Agostino a Capracotta era (ed è ancora) un nome abbastanza consueto. Sembra che stia dicendo una cosa piuttosto banale. Perciò mi sento in dovere di dare una giustificazione a queste considerazioni che, in fin dei conti, sarebbero di nessuna importanza se i nomi dei santi non venissero ricordati soprattutto nelle chiese. Se, poi, insieme al nome del santo appare anche una sua immagine e se accanto alla sua immagine appare anche un cosiddetto "attributo", allora la questione si complica. Perché ci viene il sospetto che il ministro di culto (vescovo o parroco che sia) non abbia scelto quel santo a caso, ma per una ragione precisa. Potrebbe essere semplicemente il nome del committente di una cappella o di un altare. Un cosiddetto "jus-patronato". Oppure potrebbe essere conseguenza di una scelta dottrinaria. Per esempio su una delle paraste della chiesa dell'Assunta di Capracotta vi è uno stucco con il rilievo dell'immagine di un vescovo che ha in mano un libro su cui è appoggiato un cuore fiammeggiante. È sant'Agostino "cardioforo", cioè portatore di un cuore. E fin qui non vi sarebbe niente di speciale. Un santo come tanti. Se non fosse che sant'Agostino non è un santo qualsiasi. Alla metà del Settecento nel Regno di Napoli, proprio mentre si facevano i grandi lavori di trasformazione della chiesa di Capracotta e si eseguivano le sue decorazioni a stucco cominciavano a serpeggiare idee gianseniste. Il teologo olandese Cornelius Jansen (italianizzato in Giansenio, 1585-1638) Il giansenismo si rifaceva alle idee di sant'Agostino per riformare la Chiesa in termini più semplici e meno autoritari. Non è un caso che Luca Nicola De Luca, nato a Ripalimosani nel 1734, vescovo di Trivento dal 1790, abbia avuto particolari simpatie per il giansenismo. Giovanissimo mostrò particolare propensione per la filosofia. Mandato a studiare nel seminario di Larino, a 24 anni già aveva pubblicato alcuni trattati che lo resero famoso a Napoli. A 43 anni fu fatto vescovo di Muro Lucano da dove, nel 1790, fu trasferito a Trivento. Un vescovo che fu in odore di massoneria come il suo allievo Gaetano Filangieri, il grande storico-giurista napoletano. Il vescovo De Luca fu uno dei grandi intellettuali cattolici del Regno di Napoli che ebbe particolari simpatie per il giansenismo, come Filangieri. Questo piccolo medaglione dedicato a sant'Agostino è un piccolo segnale della inquietudine che la Chiesa viveva in quel momento e che aveva come grande interprete contrario Alfonso Maria de' Liguori e il suo movimento redentorista. Franco Valente

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