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  • Ad una margherita

    O vispa margherita e profumata, dono gentil de la fanciulla mia, quando ti colse di Madonna in via, dopo un bacio d'amor mi t'ha mandata. Passeggiando, all'occhiello t'ho infilzata, e m'hanno chiesto chi a me t'offria; ed ho risposto sol: «Mi par che sia il profumo di Lei, che me l'ha data». Tu te ne stavi, margherita, cheta, nascosta là, in fra l'erbetta brulla; tu te ne stavi nell'ombra più segreta: ma dalla verde, profumata culla ti colse l'amor mio. T'ho messa in petto, siccome pegno del mio grande affetto. Berardino Conti Fonte: B. Conti, Ad una margherita , in «Aquilonia», III:3, Agnone, 16 febbraio 1886.

  • Gabriele Mosca e "La gente de la Maielle"

    Riprendiamo l' Angolo dell'Abruzzesità poetica con un poeta sulmonese, scomparso di recente: Gabriele Mosca. La creatività poetica di Gabriele bene si accompagna a quella del fratello Enzo Mosca, autore di un artistico presepio in legno ispirato ad angoli ed ambienti di vita della Sulmona di ieri. Gabriele amava descrivere ai turisti l'opera del fratello: ogni scena la faceva rivivere colorandola con aneddoti e, spesso, coi i suoi versi. Ferroviere per una vita, riservato nei modi, ma stupendamente ricco nella sensibilità e nell'amore per Sulmona e i luoghi che caratterizzano, amava leggermi i suoi componimenti e osservare la mia espressione che non poteva che essere di apprezzamento sincero. Ho scelto "La gente de la Maielle", componimento delicato che ha un senso particolare per l'autore. Paolo, suo figliolo e mio alunno nei primi anni di insegnamento, innamorato della montagna, ha lasciato nella montagna la sua vita durante una scalata, anni fa, da giovane. Il dolore del papà Gabriele, immenso, si cheta nell'ammirazione, semplice e genuina, proprio di quella montagna che attrae per tante ragioni gli umani e che rimane madre anche quando ci sottrae qualcosa di bello come un figlio. Enea Di Ianni La gente de la Maielle La mane benedette, la nature a st'àngule de terre ci ha passate; oneste e brave gente ce so' nate, è ricche de bellezze e d'acqua pure. Na fémmene gigante che repose, pare, Maiella mé, muntagne amate! D'estate tié na veste culurate, d'immierne nu biell'àbete da spose. La gente che respire ss'aria fine è forte, assà gentile, sane e bone; nen sacce se scì tu, o lu destine, che dà la forze e tanta gentilezze a chesta gente che, pe' tradizione, tè sole lu bon core pe' recchezze. Gabriele Mosca La gente della Maiella La mano benedetta, la natura, a quest'angolo di terra (ci) ha passato; oneste e brave genti ci sono nate, è ricca di bellezze e di acqua pura. Una femmina gigante che riposa, sembri, Maiella mia, montagna amata! D'estate hai una veste colorata, d'inverno un bell'abito da sposa. La gente che respira quell'aria fina è forte, assai gentile, sana e buona; non so se sei tu, o il destino, che dà la forza e tanta gentilezza a questa gente, che per tradizione, ha solo il buon cuore per ricchezza. (trad. di Enea Di Ianni) Fonte: https://centralmente.com/ , 26 settembre 2021.

  • Poemetto a Capracotta

    Proemio Capracotta è un ridente paese; ma d'inverno abbonda la neve e talvolta per tale causa si è costretti ad uscire non dagli usci ma dalle finestre delle case. Lo stemma del comune è rappresentato da una capra che salta su un fuoco ardente. È la più antica stazione climatica e turistica: si pensi che il Masciotta riporta che nel 1903 a Capracotta già esistevano tre alberghi costruiti su pianta, il Cimalte, Montecampo e Vittoria. Fu visitato nel 1824 anche da Sua Altezza Reale Don Francesco di Borbone che rimase affascinato dal panorama che si godeva alla località Prato Gentile. Il popolo lottò molto contro i prepotenti per la conservazione degli usi civici ed innalzò un monumento all'avvocato Gianturco che sposò la sua causa. Il popolo è dedito alla pastorizia ed alla coltivazione dei campi: rinomate sono per i buongustai le lenticchie di Capracotta. Ogni tre anni si fa una processione il dì 8 settembre e tutti gli emigranti ritornano per l'occasione. Quivi si trova la così detta Tavola Osca. Trattasi di una antichissima tavola di bronzo ove sono riportate le antiche divinità del Sannio. Ha importanza internazionale perché fu essenziale per decifrare l'alfabeto sannita. Durante una gita fatta con una brigata di amici in questa cittadina, in luoghi vicini alle sorgenti del Verrino e al tempio di Cerere, ove fu trovata la detta Tavola Osca, il poeta fu ispirato da queste piccole e grandi cose e scrisse di getto il poemetto che segue, ove c'è un passo originale: la traduzione in versi della Tavola Osca. È una primizia: essa ci riporta nel mondo dei Sanniti antichi, fatto di sensibilità, fantasia e poesia, e ci fa dimenticare per un attimo la civiltà moderna, ove predominano i computer: spero che i miei ascoltatori non ne siano annoiati. Negli ultimi quattro versi, alla fine, c'è un accenno ad un certo Michele: è il notaio Michele Conti, che fu l'organizzatore della gita e propiziò questo carme che altrimenti non sarebbe nato. A Capracotta Della provincia il paese più alto, fatto su roccia viva e non su asfalto. D'inverno a uscire c'è impedimento, si copre l'uscio con la neve e il vento; chi vuol uscire a parte manca o destra fuor venir deve sol dalla finestra. Io beato respiro aria tua tersa, è dolce e fresca dall'altre diversa: perciò richiama, affascina e conquista, il villeggiante, il gitante e il turista. Tuo cittadin fu l'onorevol Mosca, su te trovaron la Tavola Osca: via fu portata dal solito inglese; per pochi spiccoli o gratis la prese. Popol inglese, che sei assai potente, ridai la tavola alla nostra gente; documento è di civiltà antica, per decifrarlo ci vuole fatica; un contadino la trovò mentre arava, famoso Mommsen la glorificava; divinità riporta e sacrifici, dovuti a dèi benevoli ed amici; è sublime, ripiena d'umiltà, simbolo pieno di sincerità; sgorga dal cuore dei nostri pastori, assai più vale di mille tesori; aiutami o musa per tradurla in versi, sperando ch'essi non vadan dispersi: "Affido il cuore a dea Primavera, al dio Sole, a dea Terra ferace e nera, al dio che vuole la Generazione, al gran dio della Purificazione, inoltre affido tutta vita mia, a dea Luna che indica la via, alla gran dea della Maternità, alla gran dea della Prosperità". "Mia mente affido alla dea dei Fiori al dio dei Boschi, dai tanti colori. Al grande Giove del mondo rettore, e dei giovani gran protettore; alla dea Pale tanto generosa a Ercole forte più d'ogni altra cosa. Abbrustolisco in loro onor mio grano, lor protezione chieggo non invano". O Capracotta, questa fu preghiera dei tuoi pastori, devota ed austera. In me desta viva suggestione, e ne traggo sovrana ispirazione: per celebrare tuoi greggi e tuoi armenti, ed i tuoi pascoli verdi e ridenti, per cantare i nitriti dei cavalli che maestosi rimbomban nelle valli, a pregar Cerer, che grandine scampi, crescer faccia le biade nei campi. C'è un posto magico e incantato: tutto lo chiamano Gentil Prato. Principe pure attratto dalla fama, venne a veder da lì il panorama; della Pezzata qui si fa la festa: popol felice letizia manifesta. Sul tuo stemma veloce una capretta passa sul fuoco correndo di fretta; qual quella capra, tu sii coraggioso, veder non farti timido e pauroso; con il coraggio e senza avere paura, la battaglia si vince e la sventura. Semplici versi ai fratelli Fiadino, i tanto bravi Alberto e Gasperino. Furon vittime dell'odio nazista, un traditor li mise su lor pista; li fucilaron lì, Sotto al Monte, fratelli caddero, l'uno all'altro di fronte. Sulla lor lapide, con grande amore, depositiamo, se passiamo, un fiore. Nella tua piazza vedo monumento, fatto a Gianturco per ringraziamento. Difese strenuo i noti civici usi ai prepotenti togliendo gli abusi. Per ogni tre anni si fa processione; ritornan tutti, con grande affezione; se cittadin manca o non è venuto, vuol dire ch'è morto o s'è perduto. Caro Michele, busso alla tua porta, ti dico mogio una frasetta corta: fammi gustare con l'olio e col pane, di Capracotta lenticchie nostrane! Giuseppe Gamberale Fonte: G. Gamberale, Iserniade , Agnone 2004.

  • Monte Campo

    O Monte Campo, la tua mole appare con la possente Croce in su la vetta come sublime, gigantesco altare dei borghi alla vedetta! Ogni ricordo tuo è una visione all'alba, a mezzogiorno ed alla sera, tu vari di colore e d'espressione altare di preghiera! All'alba, quando sì il cielo si colora, e ogni casolar la vita riede, in luce mattinale che t'indora altare sei di Fede! In face meridiana poi del sole quando ti rende più che mai lucente, la tua bellezza allor non ha parole: soltanto in cor sente! Pur bello appari quando l'astro muore e bacia la tua Croce e la tua cima fuoco divieni, fiaccola d'amore che al ciel ci sublima! Tu muti aspetto a primavera ancora con l'erba vellutata che t'ammanta speme è quel verde che i mortal rincora risveglia, sprona, incanta! Quando la neve poi col suo candore accresce la leggiadra tua bellezza e i rai del sol rinfrangi e i suoi bagliori sei canto di purezza! Vegli l'alma tua Croce ch'ergi al cielo sul pastorel che in tuo silenzio arcano vive e riposa quando ai dì del gelo da te va lontano! Animi la tua Croce il pellegrino che ansioso in tua vetta tutto sfida che come premio alfin del suo cammino fulgida gli sorrida! Le fonti, i boschi, i campi e ogni fatica protegga la tua Croce e l'uomo affranto per distruzione barbara, nemica, sorrida al camposanto! Sorrida! E il pittoresco paesello che porta alle tue falde amore e vita risorga più di prima grande e bello e pace abbia infinita! Agostino Caputi

  • E finalmente già spuntò l'aurora

    E finalmente già spuntò l'aurora che a nostra Chiesa della notte a scorno il volto di letizia ricolora. Quel coro di Leviti che l'onora io veggo festeggiante ad essa intorno aspettando gioioso il tuo ritorno. Ogni fedel con ansia accorre ancora. Perché, riavuto lo splendor primiero ed un lustro maggior del primo patto che Dio conservi santo e sempre intero, te benedice per ogni opra, ogni atto che impiegasti di Dio per amor vero ed ottenesti al fine il gran riscatto. Luigi Ianiro Fonte: L. Campanelli, La Chiesa collegiata di Capracotta. Noterelle di vecchia cronaca paesana , Soc. Tip. Molisana, Campobasso 1926.

  • Ninna nanna al Bambin Gesù

    Ahi! dove amor Ti spinge, o mio diletto, e come in questo fien trovi ricetto? Ma Tu gemi, e Tu già tremi di rigore! Ahi mio Bambin, vieni e T'assonna: Ti scalda nel mio seno e fa' la nonna. Mi guardi, e poi sospiri! Ah mio Signore, intendo che vuoi dirmi: è freddo il core! Ma al Tuo sguardo già tutt'ardo, tutto avvampo ormai per Te: caro Ti assonna, riposa in questo core e fa' la nonna. Ai flagelli, alle spine ed agli estremi tormenti pensi forse, e perciò tremi? Ah! bambino tenerino, alla croce non pensar: per or Ti assonna sicuro in questo petto, e fa' la nonna. Non più temer di me: qual fui non sono se fia che ai falli miei rechi il perdono. Io lo imploro or che Ti adoro in Tua culla o mio Gesù. Quindi Ti assonna, dolce Bambino mio, fatti la nonna. So che dormir non dèi, se non nel seno d'un innocente o d'un pentito almeno. Son pentito, son contrito, della colpa sento orror: perciò Ti assonna, caro Bambin Gesù, fatti la nonna. Accetta il mio dolore. E quanto, o Dio, il sonno Tuo fia dolce al pianto mio: mai lasciarTi, sempre amarTi, Ti prometto o mio Bambin; dunque Ti assonna, chiudi le belle luci e fa' la nonna. Giuseppe Di Ciò Fonte: L. Campanelli, La Chiesa collegiata di Capracotta. Noterelle di vecchia cronaca paesana , Soc. Tip. Molisana, Campobasso 1926.

  • Il canto del pastore

    Oh Monte del Capraro che tanto ci sei caro, tu metti sì, al riparo, la nostra verità! Madonna di Loreto, noi rispuntiamo a maggio, che splenda il Tuo bel raggio col fior l'intensità! Stella di Capracotta, lume dell'Appennino, faro col Tuo Bambino, sempre ambiamo a Te! È bello l'azzurro manto, è verde tutto il Campo, sei Tu il nostro scampo che ci proteggi ancor! Madonna, gli occhi ai montim lontano or sono i trullim scendiamo noi ai Tuculli tra messe a brucecchiar! Oh Madre, che tristezza allascare i nostri affettim sbarcare tra i dialetti d'altre identità! Lungo il cammin proteggi le tante "pecorelle"... ci sono i fuori leggi nel buio a noi brucar. Faro dei transumanti, tenerezza per i viaggi, dagli occhi Tuoi irraggi virtuose nobiltà. Divina dell'Appennino, anima del Gargano, immensa è la tua mano che ci carezza amor! Quando chiediamo aiuto, ridarci la speranza, sicura ottemperanza, d'amore e di pietà! Ecco di nuovo maggio, il mese di san Michele, mai e mai fu fiele la spada lui impugnò! Nelle terre là di Foggia, infiammatasi la Morgia, i pastori tutti in loggia pronti a ripartir! Camminando si va via con i canti e tanti suoni, tutti pacati e buoni decisi nel marciar! Avanti gli stendardi delle confraternite, l'orgoglio delle cernite d'amore e carità! I canti, oh Madonna, si sprecano... per via innanzi vai, Maria e tutti siam con Te! Sugli stralci del Molise, in tratti a Carovilli, si odono degli squilli che fremono il tremar... I suoni sono misti, avanzano le campane, le avvenenti note sane affliggono... il rintoccar. Si striscia per il Vasto, avanti c’è l'Avellana, la strada è paesana che bello rilassar! Nel camminar di botta, al sole che stracotta, appari, oh Capracotta lacrime ad innaffiar!... Torniamo al Tuo faggeto in Casa di Loreto, il bosco è tutto cheto, ci stringe intenso amor! Per questo, oh terra mia, il sangue non più mi scotta... ti rivedo o Capracotta, Madonna, grazie a Te! Torniamo noi da Foggia tra fiumi, monti e piani energici... sono i richiami che abbiamo fatto a Te! Che bella la Tua chiesetta tra i vegeti della flora, un canto, intenso, implora nei bei riflessi d'or! Tra i monti tutti in fiore le onde son feconde, le valli son gioconde d'echi, un musicar! Maria, sei Tu l'amore di stuoli a noi profondi, mille gli orizzonti che bruciano al Tuo sol. Astro dei nostri siti, rientriamo da Canosa, per Te la vita è ariosa di pace e santità! Madonna di Loreto, rincasiamo da Lucera, che bello tutto era, ci hai largito il cuor! Noi Ti ringraziamo se al nostro cuor si sposa l'esistenza più operosa che gli hai donato amor! Madonna com'è bello tornare in questo sito, ampio è l'appetito per riguardare Te. Eccomi in ginocchio davanti al Tuo sorriso, esprimo dal mio viso tutto, e più non so! Grazie e grazie mille per avermi garantito il buon che ho stabilito prima di partir. Sempre e d'ovunque io sono guardo nel ciel le stelle, l'esteso delle belle lo vedo solo in Te! Al cuore dei presenti le fiamme son roventi, mai saremo assenti finché Dio vorrà! Teodorico Lilli Fonte: T. Lilli, Il canto del pastore a Santa Maria di Loreto in Capracotta , in AA.VV., I racconti di Capracotta , vol. III, Proforma, Isernia 2013.

  • A me resta la pena!

    Era l'unico monumento, una secolare torre di pietra, non di cemento, fatta con tanto sudore; sotto una fontanella, e un orologio a metà, alla cima croce e campanella, ogni quarto d'ora a suona'. Cara Capracotta, ora a quel posto c'è una macchina in sosta, quando da te ritorno e arrivo a quel posto in alto mi rivolto e resto di stucco e ripensando cammino, per il Corso o sul Colle, mi rivedo un bambino, con una borsa a tracolla, in una mano un soldino, dato da mamma o da nonna e ci compro da Grifa una caramella o una castagna e che l'eco dei rintocchi il vento si stava a portar assieme ai balocchi e a quella tenera età. Cara Capracotta, ora a quel posto c'è una macchina in sosta, che brutta sorte. Dindi dindi dindi, sembrava dir, dindo dindo dindà, corri a scuola ch'è tardi già; ora a quel posto c'è una macchina in sosta che spruzza veleno e a me resta la pena! Ah se potessi tornar a quella età d'allora, pietra su pietra rifar, com'era quella tor, sotto una fontanella, un orologio a metà, alla cima croce e campanella, come allor farla suona'. Risuonare alle nove, risuonare a mezzogiorno, risuonare quando il sole dietro alla Maiella si nasconde. Dindi dindi dindi, dindo dindo dindà, sembrava dir, corri a scuola ch'è tardi già, l'Ave Maria sta a suona'. Cara Capracotta, che brutta sorte, ora a quel posto c'è una macchina in sosta che spruzza veleno e a me resta la pena! Mario Di Tanna

  • Appennino

    Qui ad Agnone la rondine nello stesso nido dalle Puglie torna al rintocco della primavera. In alto Monte Campo da dove Matese, le Mainarde, la Maiella, solitarie catene all'orizzonte sfilano nel loro gentile biancore. E da Monte Campo Prato Gentile sulla cui neve vive il passero parco, solitario e la lepre, la cornacchia nera carnivora come faina in agguato. E da Vallesorda ancora Monte Campo bianco che il silenzio avvolge come l'edera il faggio, come l'abetaia il cuore del merlo. Giacomo Garzya Fonte: G. Garzya, Appennino , in «L'Appennino Meridionale», III:1, Club Alpino Italiano, Napoli 2006.

  • O Tavola Osca

    Tu puoi ancor parlare e dire chi furon i Pentri avi o epigrafe di bronzo, urna di oscofoni segni. Tu hai visto le prove orrende e dure di Aquilonia, città di gloria e di sventura di cui resta solo il nome. Sei rimasta sepolta tra le pietre senza pietra, o Tavola, ti hanno fatto riveder il sole le mani contadine. Ed or, alle genti del mondo parla di Sannio e di Sanniti, perché sei sosta, sei tempio: mio tefurum sempre acceso. Franco Porrone Fonte: F. Porrone, La Tavola Osca. Dalla Macchia di Capracotta al British Museum di Londra. Documento della lingua e della religione dei sanniti , Grafikarte, Roma 1990.

  • Capracotta, dicembre 1943

    Capracotta era una stazione sciistica, una volta, fredde montagne di blu cristallino, neve sul Sangro, e da laggiù - a partire dai villaggi su quegli altri monti lungo tutte le vette che è possibile scorgere via, fino al cuore d'Europa, erano tedeschi, Fortezza Europa. Là trova posto il nero continente, soluzione costretta in schiavitù, che, come l'Adamo michelangiolesco, aspetta di colmare il vuoto della smortezza. La sola idea li ha sostenuti e dovrebbe continuare a farlo: perché qui a Capracotta, dove la liberazione c'era tra le macerie, come un sacco di bastoni, si raccoglie un uomo teso, ghermito, un uomo sproporzionato, carne che deve aver vissuto troppo a lungo, non così tanta carne quanta ne ricordo. Putrescente persistenza della materia che può assorbire le ferite ma guarirle mai. (Qual è quest'immortale qualità d'Europa, quando, morto nello spirito, il cadavere può giacere dormiente, attendere il suo tempo, e svegliatosi, tormentarci per sempre? La mente nostra non può rintracciarla né rapportarla ad alcuna esperienza dentro noi.) William Grosvenor Congdon (trad. di Francesco Mendozzi)

  • Capracotta: una poesia di Vittò

    Che bel paese su quest'alta montagna! Qui ti godi la pace, mangi i suoi buoni prodotti e respiri la sua buona aria. Paese molisano, quassù, ti si distingue (come ti si dipinge) solo con tre colori, l'azzurro del cielo, il verde dei tuoi boschi, il bianco della tua neve, ecco perché da te tanta e tanta gente viene. Di tradizioni ce ne sono tante, ma la festa della Pezzata e soprattutto della Madonna di Loreto, sono per te le più importanti. Tanti amici vengono su accompagnati da chi c'è nato quassù. adesso poi?... è meno duro. Se ripensiamo che al tempo antico si veniva su a piedi, o con il mulo, dall'antichissimo tracciato del famosissimo tratturo. Vittorio Simoni

  • Invito invernale

    Vieni! Vieni! Un piacevole calore spande la fiamma; fischî fuori il vento, cada la neve pur, pioggia d'argento: a Te daccanto vo' librar l'amore. Avrò tre cose belle: il più bel fiore de' vati - che immortale hanno l'accento - Bacco, che tien lo spirito contento e, sogno de' miei sogni, il tuo bel core. Fra un bacio ed un bicchier, la Musa mia, dal rigore invernale intorpidita, evocherà l'accesa fantasia; ond'io, riuniti i canti miei più belli, mentre d'intorno a noi morta è la vita, ghirlanda, li porrò sui tuoi capelli. Oreste Conti Fonte: O. Conti, Invito invernale , in «La Vampa», II:13, Lucera, 15 febbraio 1908.

  • Vacanze a Capracotta

    Paese solare Capracotta, dai tetti rossi delle case, tessere di mosaico inserite in campi di fieno e girotondo di boschi. In alto Montecampo fa la guardia mansueto. A luglio pochi turisti, i paesani tornano in agosto come rondini al nido. Girare per le strade silenziose, scoprire cose curiose: civettuole tendine alle finestre, fioriere incavate nei tronchi, sagome estrose di camini. Andare per lunghe scalinate, sostare sul sagrato della Chiesa e di là spaziare nella vallata. Il saluto cordiale della gente! Nei volti asciutti degli anziani i segni di antiche fatiche: boscaioli, carbonai, pastori. Ma dove sono le greggi, le mandrie? Non c'è più transumanza, humus di civiltà ed accoglienza. I pastori ora sono stranieri. La legge del mercato non ha riguardi per l'amarcord. Ma l'estate ogni anno canta la terra dei Sanniti. Di essi riaffiora la rocciosa tempra. Ed è festa! Lina D'Incecco Fonte: http://www.lafonte.tv/ , 31 agosto 2010.

  • Vieni a Fuorigrotta

    Una volta volevi solo mille lire ed oggi vuoi partire; ma dove vai di preciso tu che sei di Treviso? Te ne vai a Capracotta? Se tu cerchi l'iniquità la parata di mediocrità lo scolo della civiltà vieni a Fuorigrotta. E la figlia brucia dalla voglia e la mamma le toglie la foglia ed ancheggia piuttosto tracagnotta occasione ghiotta (?); tutto questo bailamme di buche senza strade di scavi con le guade binari senza tram vetrine poco glam. Dov'è questa roba qua? Solo a Fuorigrotta. Il politico t'offre la pagnotta il seguace scuce una piotta sotto il naso della poliziotta che saluta la donnola bigotta. Dove trovi questa gente qua di straccioni vestiti da pascià di cretini bevuti sul sofà e cretine con il cincillà? Tutta a Fuorigrotta. La partita contro complotta e riempie lo stadio di masse in assedio incitanti giusto da un'oretta l'attaccante che non dà la botta; e lui in casa rinchiuso la faccia crollata caduta a pera cotta come Pellico recluso ma meno patriota inebetito aspetta che si tolga dai maroni la marmaglia di beoni buoni solo a pelar la gatta e gli lasci la strada tutta libera e vuota per la ghiotta serata un poco galeotta ed invece c'è coda giù fino alla grotta, e lo chiama incazzata la povera Carlotta. Dov'è questa melma qua? Proprio a Fuorigrotta. Il suono della mattina, driiin! Scendo presto per arrivare prima alla serra degli stronzi ondeggianti come bonzi nella saletta dell'Asl, perché oltre cinquanta il medico non canta e chi pianta pretesto è fuori dal contesto e scoppia una manfrina che ognun deve ballar se esente vuole andar. Io sì mi rompo il pacco proprio mi si sfarina ma da qui non mi stacco, debbo risanare un guaio che no, non ho creato e invece mi riguarda in questo immondezzaio. Ma dal muro di lato una tipa mi guarda con l'occhio rapito mi arpiona maliarda ed a maglia uncina. Poi al braccio agganciata la scintilla è scoccata e la frittata è fatta in quel di Fuorigrotta. Quest'incrocio più cieco del mio stesso intestino quando svolto e ci sbuco dalla fine del Pendino. Sulla strada che sale e cresce su dal viale tutto mi può capitare, perfino il vecchio pazzo che fila come un razzo. Io con molta prudenza per la scarsa visione comincio a spuntare; se scende l'affluenza m'infilo piano piano e con circospezione, ché un altro maiale risalendo da Agnano mi può scaraventare detto fatto nel pino. Basterebbe un semaforo a sbrogliare il casino un rimedio mammifero per dire al cittadino di averci la coscienza. Si è avvertito il Comune del pericolo immane ma non ha provveduto; neppure un vigilino a dettare precedenza e lo stesso Prefetto ne sa pure di meno e l'incrocio fa schifo da togliere il fiato. Dopo mesi di protesta e giare di veleno al quadrivio fottuto non hanno mandato nemmeno una marmotta. E sicuro il difetto causerà la botta qui a Fuorigrotta. E la moglie beve tè di foglie il maritino brulica di voglie ed accoglie un'ucrainotta vivace e poliglotta nella sua villetta dietro via Arlotta a bere una coppetta della sciampagnotta e morde la caciotta della ragazzotta da noi a Fuorigrotta. Son tornate le cicale sulla via Terracina polacche e nigeriane, son circa una dozzina. Macchinando le incontri allo spiazzo di benzina, fanno anche gli sconti a chi in auto s'avvicina. È una vista carnale brada come la Pampa, vacche d'esportazione esperte nella samba. Ah ma che confusione che problema bestiale! Ed a chi la racconti che sei uno neutrale e che se rallenti lo fai per una pompa ma solo di benzina? Nel cuore della notte c'è così tanta vita che non ci pare vero che sia attecchita accanto al Cimitero pieno di ossa rotte. È un gran capogiro il fisico sballotta inizi a stare male ma non ti disperare, puoi sempre peggiorare se entri all'Ospedale San Paolo che ti adotta in zona Fuorigrotta. Mamme con la spesa pensilina del bus fissano la palina con grugni da blues. Nonni coi cateteri non si reggono più sorretti da ex veneri venute dall'ex Urss. I raga coi berretti le raga con l'Ipod si smicciano furbetti sognan di fare upload. Una buona mezzora è bella che passata il bus non affiora la gente esasperata. In fondo si fa viva la cosa lampeggiante, alla curva arriva ma è ancora distante. Un tipo alto sbotta ma dove cacchio eri? però è la camionetta rossa dei pompieri. Ormai è leggenda, l'amico Pippotto stava alla fermata ancora giovanotto doveva arrivare a piazzale Tecchio a furia d'aspettare c'è arrivato vecchio. Corriamo all'impazzata sulla terra che smotta molle come ricotta quaggiù a Fuorigrotta. Scarafaggi grossi come anacardi escono dai fossi alla sera tardi nel caldo termale c'inseguono testardi da piazza San Vitale a via Leopardi. La strada del poeta mette tanta pena molto fioca e cheta la luce sulla scena; steso sul portone dell'Immacolata dorme un anacoreta la faccia congelata. Dentro la stazione di Campi Fle­grei altri nei cartoni a terra come Achei. Molte curve cieche ritorta si disegna dopo le paninoteche tutta via Campegna, marciapiede stretto proprio inesistente il pedone poveretto rischia l'accidente. Il vecchio Sferisterio vicino alla grotta sarà un battistero oppure una gargotta? Domanda Fuorigrotta. La musica d'estate percuote le vetrate famiglie risvegliate da feste scellerate e quante clacsonate rotonde ingorgate frullano la calotta, in giro poi mappate di auto scoperchiate di targhe rovesciate di imposte oscurate e case grattugiate. Ed è tutto caducità dentro Fuorigrotta. Perfino viale Augusto preteso boulevard solo meno angusto ma squallido bazar. Goffe casalinghe con laceri foulard si sentono bislunghe come le fiamminghe tele di Rembrandt. Fasulli cavalieri lenti scure da sole grevi faccendieri sputan nelle aiole ed aprono concorso per girar sul dorso la bella tabaccaia; vorrebbero cosarla e giurano di farlo ma non esiste merlo per quella civaia. Sfrecciano motorini da fianco a fianco un padre di bambini è diventato bianco quando una Fandango gli sfiora i piccolini. Ci sentiamo inermi anche sul selciato noi restiamo fermi e loro a perdifiato a tutto gas e armi nelle giubbe da ras. I cordoli divelti coi tondini all'aria stupidi risvolti di rabbia proletaria e poi altri cascami di triste fatiscenza a stento riassorbiti dai poveri stilemi di Italia mondiale passato coloniale Mostra d'Oltremare; ma giri il Piazzale e sfumano quei miti e per non sbagliare ritornano i patemi della marcescenza. Cambia l'aria, gira la girotta piove forte ed il fango fiotta l'acqua nera tutto infagotta e la luce elettrica interrotta. Dove trovi questa varietà di intuizioni senza verità di guasconi mezzi baccalà di gibigiane tutte voluttà? Vieni, vieni, vieni, vieni, vieni, vieni, vieni, vieni, vieni a Fuorigrotta. Giuseppe Nutini Fonte: http://www.larecherche.it/ , 17 dicembre 2012.

  • Vai rondine vai

    Esule in terra lontana oltre il mare tra i monti avrei voluto nido stagionale come te rondine felice. Felice come te di ritornare a casa pur dopo tanti orizzonti. Prèstami ti prego almeno un solo volo e va' sulla collina di Struzhie dove le tombe genitrici aspettano ancora il pianto mio estremo saluto mai dato. Va' su quel che resta dei miei vagìti e bagna di lacrime quei muri. Prèstami un solo volo per piangere sulla mia vita per rafforzare il mio coraggio! Ysmen Pireci Fonte: Y. Pireci, Il villaggio senza nome , Università dei Popoli, Badolato 2005.

  • Epigrammi

    Gabriele, ho sprezzato sempre i collegiali cacandomi le vacche sui piedi assolati. Il mio sentiero è quello dei cuccioli bastardi, degli asini mai strigliati. Oggi incontrandoti nell'antologia di un amico da escluso mi faccio della schiera. Ti trovo il più vero e a me il più consanguineo. Montale Quasimodo Ungaretti lasciate di scornarvi per il mio magistero. Siete tre ruscelletti magri e tutti e tre avete avuto la colite. Tu Montale ti sei lesso a contatto con la Manica e il Corriere. Ma non hai saputo mascherare bene che trent'anni sono troppi per dare i primi ossi. Volevo vederti a Capracotta. Salvatore, il tuo calore ha fatto presa con lo zio di Milano. Non capisco però che vuoi dire. Comunista potevi diventarlo prima o tornare al Sud se tanto ti piaceva. Ungaretti, ma che simpatico sei. Appena sapesti di valere non hai saputo più cantare. Sono scherzi di coscienza. Pavese caro, non bisogna farsi attirare dalle Montagne Rocciose. Dovevi dire di arrossire per una donnina. Calvino, mi piace il tuo sorriso meraviglioso. I tuoi libri lo sai, non valgono una H. Quest'anno vincerò il Viareggio. L'Italia è tutta scamorze lampadine gonfiate sotto vuoto spinto. Ho una voglia matta di stracciare milioni in faccia al primo collega di sillabe. Lettore, niente mi hai dato perché piantassi il ciliegio. Ma senza vergogna strappi i ceci al mio prato. Fa pure con comodo: narro per servirmi. Clemente Di Leo Fonte: C. Di Leo, Una lunga puzza , Ed. dell'Autore, Colledimacine 1968.

  • Autunno montano

    Silenzio sui muri, silenzio sulle strade, silenzio anche su quei volti parlanti arrugginiti dal tempo, scavati nella sofferenza, nella sopportazione, nel sacrificio, dalle lunghe, fredde solitudini delle infinite stagioni nevose; immagini di cera trasparenti di storia, di nostalgie, di passato; pupille profonde che ti giudicano mentre con esse ti scontri, t'interrogano prima d'incontrarle ed a lungo ti seguono, dopo averle incontrate, assìse sulle sedie antiche davanti alle soglie scaldate dall'ultimo sole misteriose d'una arcana strategia fatta d'indifferenza e d'attesa: dentro, capaci di piangere e soffrire sevère per non decadere dal rude orgoglio della gente montana. Silenzio ancora sulla piccola campana, muta ed immobile anch'essa sul quadro del vecchio pittore, che fa bella mostra di sé senza più suonare, senza più annunciarli i vespri e le ave marie. Potessi voltarmi e ascoltarlo quel suono tenue vibrante a distesa, ora come nel famoso giorno di festa; come allora parlargli e sorridere mentre a me sorrideva e parlava; ora come allora, in quel settembre bambino. Ugo D'Onofrio Fonte: U. D'Onofrio, Vorrei... dall'eco dei miei monti , San Giorgio, Campobasso 1979.

  • Lo spazzaneve buongustaio

    Il vento accompagna la nevicata mutandola in vorticosa bufera e, carica d'umanità, la corriera termina il viaggio dentro la scarpata. Improvvisa, sopraggiunge la sera, poi il clipper con la sirena spiegata; al timone un'incantevole fata spazza la neve alla sua maniera! Le lamine d'argento divorano muri di ghiaccio e la coltre d'avorio, che copre la montagna, già sfiorano e assaggiano la stracciata gentile continuando nel moto rotatorio, ancora la pezzata nell'ovile! Antonio Andriani Fonte: A. Andriani, I bucanieri non giungon più dal mare. Poesie estroverse tra aitanti sonetti ed haiku senza posa , Lampi di Stampa, Milano 2009.

  • Chia fu ru proime?

    Quande Crestofere Culombe iètte all'Amèrca, nu iurne, pe sapaie che succedéva attorne, se facètte na passeiata. Iètte pe vedaie, stavan du carvunièare cuteiènne che nu vlanciaune a pesà carviune e ru marche iva ncima currènne. Crestofere s'avvecenétte a iüne e addumannètte: – Chi ve ci 'ha purtèate éck, ru deièvre? – Chir' i 'arrespunniéarne: – Nu séme de Capracotta; éme passate; passame sèmpre; iéme pur' a ru mpiéarne. Culombe, puveriéalle, n'armanètte. Se strequeleiétte l'uoacchie; nen sapaiva se stav' all'èrta o durmoiva. Decètte: – Ne me pozze fa capèace; credaiva ca prima d' mé nen c'eva state cuviéalle; com'éte fatt'a menì vurria sapaie. Se ci 'arpènze m' se volta ru cerviéalle. Doppe na nzégn' ardecette: – All' barch' maie éte mnut' annascuoaste certaménte. Chire na bèlla reséate se faciéarne; redénnie mpaccia ie tenérne mènte e deciéarne: – Ma fusce Patrétèrne! Pozze sta buoane Crestofre! Arrevèmme eck vint'ènne fea che nu barchéune credénne d'ésse re proime... Po' vedèmme ca stavan già re callariéare d'Agnéune. Giuseppe Delli Quadri Chi fu il primo? Quando Cristoforo Colombo andò in America, un giorno, per sapere cosa avveniva intorno a lui, fece una passeggiata. Poté così vedere due carbonai che si davano da fare con un bilancione a pesare carboni e il romano saliva su velocemente. Cristoforo si avvicinò ad uno e domandò: – Chi vi ci ha portato qui, il diavolo? – Quelli gli risposero: – Noi siamo di Capracotta; siamo passati; passiamo sempre; andiamo pure all'inferno. – Colombo, poveretto, rimase di stucco. Si stropicciò gli occhi; non sapeva se fosse sveglio o dormisse. Disse: – Non posso capacitarmi; credevo che prima di me non ci fosse venuto nessuno; vorrei sapere come avete fatto a venire. Se ci ripenso mi dà di volta il cervello. – Dopo un po' riprese: – Nelle mie barche siete venuti nascosti certamente. – Quelli fecero una bella risata; ridendogli sulla faccia lo guardarono e dissero: – Ma non sei tu il Padreterno! Possa tu stare bene! Arrivammo qui venti anni fa con un barcone credendo d'essere i primi... Poi vedemmo che c'erano già i ramai di Agnone. (trad. di Emilio Ambrogio Paterno) Fonte: E. A. Paterno, Prima antologia di poeti dialettali molisani , Arte della Stampa, Pescara 1967.

  • Il volo del silenzio: Capracotta

    Dalle nebbie del sonno sale un lento battere di incudine nella piazza dove c'era una volta il paese. Antonio Di Tanna Fonte: A. Di Tanna, Il volo del silenzio , Aletti, Guidonia Montecelio 2008.

  • Sogno

    Oh, dolce inganno! In sogno io t'ho veduta, bianco vestita, ai piedi dell'altare, ma la preghiera il labbro recitare io non intesi, no: Tu eri muta. Eletta schiera d'angeli venuta era dal cielo, intenta a rimirare de' tuoi begli occhi il santo sfolgorare, ché la Madonna essi t'avean creduta. Com'eri bella! Il tuo gentile viso avrìa spietrato ogni superbo core e lo stesso Signore avrìa conquiso. Vinto, a Te venni, e con sublime ardore, mi slanciai per baciarti... all'improvviso vanì la bella visïon d'amore. Oreste Conti Fonte: O. Conti, Sogno , in «Il Frizzo», Lucera, 10 aprile 1909.

  • E vergine di corpo di mente di desideri

    E vergine di corpo di mente di desideri, martire di volontà di mortificazioni di dolori costantemente e con letizia sostenuti in lunghissima infermità, spenta sul vigor degli anni, meritasti che il pio Sacerdote, il quale ti guidò giovinetta nel sentiero della perfezione, dopo aver raccolto il tuo ultimo respiro, ed averti pregato il riposo degli estinti, s'inginocchiasse dinanzi al tuo cadavere a baciarti la tepida mano, ed a raccomandarsi alla tua intercessione. Deh, pietosa l'assisti; ed obbligo di gratitudine ti stringa insieme a difendere da casi rei il tuo maggior fratello, il quale ornava il tuo sasso della più dotta iscrizione, che durerà per quanto dura fra noi la memoria di tue virtù purissime ed austere. Tu sola ne resti, o Luisa, Duchessa di Capracotta, e Contessa di Salina; oh spirante immagine della madre, esempio delle matrone napolitane, onor del sesso, ah vivi, e serbati al tuo illustre consorte; serbati alla consolazione d'una famiglia, che dalla perdita di Lucrezia è così immersa nel dolore e nel pianto, che né il tempo, né le più giuste occasioni di gioia non han potuto ancora, non che inaridire, ma scemar più che tanto. Vivi, e serbati a far di tua vita parlante elogio delle virtù di tua madre, ché ancor non sorse, né sorgerà per ora chi valga a tesser laude eguale a' suoi meriti. Alleviato io dunque d'un incarico, che mi saria tornato assai malagevole a portare, i pregi di Lucrezia, che furono alternativamente cagione ed effetto di quei del marito, nell'elogio di lui rimarranno sotto silenzio ingratamente ascosi? Francesco Martello Fonte: F. Martello, Prose italiane , Cataneo, Napoli 1855.

  • Molise che emigra

    Ora so perché quella coltre di campi da arare seminata di pali di bidenti e zappe lasciati all'aria nella pausa di colazione all'ombra mi parve il volto di un camposanto. – Se il paese era scarno invecchiato come un convento quei pali sapevano il numero della gente viva. Come a un cenno, infatti, la distesa si animò di figure, femminee tutte, lente stanche vaghe come fantasmi e le braccia rotearono rapide le lame che affettavano le zolle con una lena che sapeva di fretta e di richiamo... Ora, sulla via che portava ai casolari vuoti ogni gonna trascinava un pianto ed un lamento e tante braccia cullavano un vagito; e i pali delle zappe e dei bidenti all'aria sulle spalle mi davano l'idea delle croci: croci che in quel paese del Sud attendono le braccia dei cirenei. Geremia Carugno Fonte: G. Carugno, Molise che emigra , in M. Gastaldi, L'Italia centrale, meridionale e insulare viste da centinaia di poeti e scrittori italiani contemporanei , Gastaldi, Milano 1967.

  • Inno degli skiatori

    Diritte le gambe, eretta la schiena, innanzi lo sguardo, la fronte serena, per l'aspra discesa, sul frassino lieve si vola, si vola: ci è strada la neve. Arditi e leggeri, pel morbido piano sgusciamo fra i faggi, miriamo lontano; tra venti e procelle, più forte, più ardita sentiamo nel core pulsare la vita. È bella la neve, regina essa sola del piano e del monte, si vola, si vola… Il prato e la rupe, la zolla ed il fiore uguaglia ed abbella l'intatto candore; siccome ne l'alma del volo l'ebbrezza in gioia tramuta la cupa tristezza. Col freddo, col gelo, la neve profonda uccide le ortiche, le messi feconda, qual noi, de la forza veloce coorte, daremo a la Patria progenie più forte. È bella la neve, regina essa sola del piano e del monte, si vola, si vola… Giorgio Borrella Fonte: T. Paolone, 1914-2014: cento anni di sport. Cronache e storia dello Sci club Capracotta , Volturnia, Cerro al Volturno 2015.

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