LETTERATURA CAPRACOTTESE
GARE DI SCI A CAPRACOTTA
Istituto Nazionae Luce (1929)
"Gare di sci a Capracotta"
GARE DI SCI A CAPRACOTTA
Istituto Nazionae Luce (1929)
"Gare di sci a Capracotta"
IL RATTO DI BECKENBAUER
Flop TV (2009)
"La villa di lato"
di Maccio Capatonda (1978)
IL RATTO DI BECKENBAUER
Flop TV (2009)
"La villa di lato"
di Maccio Capatonda (1978)
IL RATTO DI BECKENBAUER
Flop TV (2009)
"La villa di lato"
di Maccio Capatonda (1978)
IL RATTO DI BECKENBAUER
Flop TV (2009)
"La villa di lato"
di Maccio Capatonda (1978)
VIRGILIO JUAN
CASTIGLIONE
Le arie popolari musicate da artisti capracottesi
NUNZIO
BACCARI
(1666-1738)
ALFONSO
FALCONI
ALFONSO
FALCONI
ALFONSO
FALCONI
NUNZIO
BACCARI
(1666-1738)
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- Amore e gelosia (LII)
LII Immaginate le scena: Elisa si ergeva con la sua potente figura sulla povera suocera che, già piccola di suo, ora per davvero appariva schiantata, sottomessa. "Le ho dato un bel colpo, davvero! L'ho messa sotto! Mò da oggi in poi si deve misurare, Adda sta calma! Ah!, finalmente! Sai mammà mia cumme sarà cuntente quanne le diche cumme l'agge sistemate!"... Con questi dolci pensieri in testa, la bella nocerina si risedette a tavola, stavolta con l'aria quasi da padrona: aveva di nuovo fame, stese la mano, prese un piatto di biscotti fatti dalla suocera e cominciò a mangiarne con gusto, sotto gli occhi della vecchia che sembrava ormai vinta, senza alcuna capacità di reagire. – Bè, allora mammà, mò che ce simme capite, ce ne putimme pure i' a cucca'! Me serve però na camicia da notte, perché non me ne prestate una? La più bella che tenete, mi raccomando eh? La suocera si alzò faticosamente: – Mò vado a prenderla nella mia stanza, nell'armadio. Te piace una camicia di lino puro? Mantiene freschi e te fa durmi' overamente! Sarai contenta! E si avviò verso la sua stanza da letto, mezzo traballante tanto da suscitare un po' di pentimento in Elisa che tutto sommato aveva agito così non perché fosse una iazzera, ma perché provocata severamente dalla suocera. Guardandola da dietro, mezza sciancata e zoppicante, alla giovane venne da pensare altro: "Ma vide nu poche se io mi devo comportare accussì! È na brava femmene, ma si nun la mettevo a posto a Salvatore me lo potevo scurda'! Da domani finalmente posso cominciare a pensare alla data del matrimonio e all'abito da sposa... Madonna, che belle giornate che mi aspettano! Sarte, negozi, calzolai, corredo, ricevimento! Che bella vita! Che bella!"... La giovane si stiracchiò e sbadigliò: s'era fatto davvero tardi e il sonno ormai reclamava la sua parte al giovane corpo. "Dormirò nella stanza di Salvatore, nel suo lettino pe stasera... Ma quanne vene sta vecchia con la camicia da notte, non ce la faccio più, tengo sonno!"... Infatti erano passati più di un quarto d'ora e la porta della stanza della suocera rimaneva chiusa, né alcun rumore proveniva da dentro. "Ma che sta facenne? Eva piglia' na camicia da notte, mica la doveva confezionare! Io ho sonno, me serve 'a camicia da notte! Mo vado dentro e le faccio vede' chi songhe! Sta vecchia scimunita!"… È così fece: si alzò e si diresse verso la stanza della suocera, giunse alla porta, afferrò la maniglia , aprì e... Francesco Caso
- Amore e gelosia (LI)
LI Tra le due donne non passava neanche un filo d'aria: i due visi si erano accostati, azzicche azzicche, fin quasi a sfiorarsi, e gli occhi dell'una si fissavano negli occhi dell'altra, le mani nervosamente agitate lungo i fianchi, quasi pronte a e ghermirsi i capelli e farsi una di quelle strascinate con cui le donne hanno risolto spesso i loro motivi del contendere, per secoli, specialmente nei cortili e nelle comuni di una volta. Ma non successe niente: l'educazione ricevuta e la classe sociale di appartenenza delle due ebbero il sopravvento sul desiderio, quasi una bramosia, con cui avrebbero voluto afferrarsi. Pian piano la rabbia si stemperò e impercettibilmente i due visi cominciarono ad allontanarsi dalla zona di pericolo. La madre di Salvatore, con classe e stile, che Elisa nonostante tutto non poté fare a meno di ammirare, si diresse con calma verso la cucina, dove la macchinetta per il caffè aveva cominciato ad esalare un gradevole profumo e andava quindi rivoltata sottosopra per completare l'operazione, cosa che fece con grande abilità. Elisa a sua volta si era stirata con le mani la gonna e si era sciolta i capelli lunghi e neri, apparendo agli occhi dell'anziana signora in tutta la sua bellezza. “Madonna mia, chesta è accussì bella che facesse arrevutà 'e muorte dinte 'o tavute! perciò chillu figlie mie ha perze 'a capa! Si sta femmena figliasse, facesse criature belle cumme 'o sole! 'e nepute mie!”... Questo passò per la testa all'anziana signora, che all'idea di avere nipoti belli attorno a sé stava quasi cominciando a squagliarsi, ma il corso dei suoi pensieri fu interrotto dalla voce di Elisa, stranamente calma e quasi melodiosa. – Cara suocera... mammà... – esordì, con una punta di civetteria che diede fastidio all’altra – stavo pensando... ah, grazie per il caffè, – fece, mentre prendeva la tazza che la vecchia le porgeva, e con grazia se la portava alle labbra, – dunque... stavo pensando che... sì, questa serata e questa chiacchieratina tra di noi è stata davvero importante! – E giù un altro sorso di caffè, mentre si agitava flessuosa sulla sedia. – Ora però che voi avete chiarito il vostro punto di vista... cara mammà, io per educazione devo chiarirvi il mio... lo meritate, siete così educata e gentile con me! La donna anziana rizzò le orecchie e l'odio per quella smorfiosa ritornò subito a galla, affondando definitivamente l'immagine dei nipotini e le scene idilliache che ne erano conseguite. La guerra riprendeva: – Ah... – fece la vecchia donna – e famme sentì... tu come la pensi? – Ecco, mammà... vedete, è come una sfida, un bel duello tra noi due, una cosa tra femmine! Voi mi avete dato un consiglio: meglio che me ne torno a casa mia e mi sposo un bel nocerino pieno di soldi, magari più giovane anche di Salvatore, e mi faccio la mia bella vita di paese... e tutto sommato mica sarebbe una brutta vita! Ma... mammà c'è un piccolo problema, anzi ce n'era uno, ora sono due: il primo è che io voglio a Salvatore, l'ho voluto prima ancora di conoscerlo di persona, e niente, niente si può mettere tra me e lui! Ora poi c'è un altro problema: voi! – Io? e che c'entro io? – C'entrate, c'entrate, cara mamma, perché ora sono io ad esservi debitrice di un consiglio, per cui ve lo restituisco. – Si interruppe, posò la tazza ormai vuota sul tavolo e si alzò di nuovo in tutta la sua imponenza, notevole per quell'epoca: – Mammà, appreparatevi la mappatella, metteteci dentro le vostre cose e cercatevi una casarella a sola... Sono davvero dispiaciuta, credetemi, ma tra pochi mesi io mi sposo, mi piglio vostro figlio Salvatore e mi trasferisco qua, in questa casa... e quanto tempo voi pensate di poter resistere a vivere qua dentro insieme a me che sarò la signora Di Giacomo? quante ne potrete sopportare? perché ve ne farò di tutti i colori, e se vi lamenterete con la vostra creatura, quello non vi crederà, crederà a me che di notte dormirò accanto a lui, con la testa sopra un solo cuscino, azzicche azzicche! Si mise a ridere la giovane, una risata sfottatoria che fece uscire dai gangheri la suocera, ma continuò a tacere, mentre Elisa continuava: – Sì, sì... saranno giorni splendidi, giorni di amore, di abbracci, di baci in tutte le stanze... meglio che ve ne andate prima, ve lo risparmiate, sentite a me! L'altra taceva e meditava... Francesco Caso
- Amore e gelosia (L)
L Elisa s'era giocata l'ultima carta, quella che riteneva la sua arma vincente: le lacrime! In genere sono un'arma potente che le donne sanno usare alla grande, funzionano e come, specialmente con gli uomini: questi ultimi vengono letteralmente messi al tappeto quando una donna, in una qualsiasi discussione accesa, ricorre al bel visino rigato da copiose gocce che lo solcano, occhi arrossati, singhiozzi disperati. Non vi è scampo, il povero maschio si sente squagliare. Ma come, la sua amata, l'oggetto del suo desiderio, quella che occupa tutti i suoi pensieri è lì che soffre davanti a lui e per colpa di chi? Per colpa sua? «Dio mio, ma cosa sto facendo?», si chiede il povero ragazzo, e subito si precipita a consolare la sua povera donna, dimentico di qualunque cosa lei abbia fatto per scatenare la sua ira. E così tra abbracci, baci e «languide carezze» la pace ritorna e la femmina trionfa e fa un altro passo avanti nella conquista definitiva del cuore e della mente del povero innamorato. È un classico, c'è poco da fare, quell'acqua salata di cui ci ha dotato il Padreterno, Eva ha saputo subito, con Adamo, come usarla a suo vantaggio! Ma stavolta i calcoli di Elisa si rivelarono del tutto errati: di fronte a lei c'era parimenti un'altra donna, e che donna! Una napoletana anziana e benestante, che nella vita ne aveva viste e sentite ben di più di quella giovane «nucerese» bella e intelligente, ma che doveva ancora «mangiarne 'e furne 'e pane» prima di poter competere con quella vecchia arpia, ma c'era di più! Lì la lotta era quasi mortale: una mamma che difendeva un figlio contro una nuora che se lo voleva sposare e conquistarne il cuore per strapparglielo! Gesù, queste avrebbero potuto sbranarsi! Una potente, sonora risata accolse le lacrime di Elisa: – Uh Madonna, ma tu vide vide! Chiagne! E cu lacrime vere! Peccere', sei brava! Davvero sei brava! E qui se ci stava chillu maccarone 'e mio figlio, è capace che me metteve pure 'e mane 'ncuolle! Che grande attrice! Hai capito la paesanotta! Meriti un applauso, davvero! E tra la sorpresa più totale della quasi nuora, la quasi suocera le fece per davvero un applauso, con schiocchi delle mani forti e continui, un lungo applauso ironico, uno sfottò insopportabile che ruppe le ultime titubanze della giovane. – Ah... – fece allora Elisa, asciugandosi il viso con le mani e alzandosi in piedi in tutta la statura per meglio dominare quella vecchiaccia maledetta che voleva rovinarle la vita e scompigliare tutti i suoi piani di battaglia – Ah.... allora accussì stanne 'e cose? – Fece Elisa, con voce sibilante. – Ah... e tu che te credivi che stevene 'e n'ata manera? Che era na passeggiata, che venivi a Napoli fresca fresca e ti piazzavi dentro la mia casa, col più grande poeta della città e a me, a sua madre me dive nu cavece 'ncule e mi cacciavi fuori? Eh sì! Accussì stanne 'e cose! Lo vuoi sapere? Tu a Salvatore te lo puoi scordare, non te lo sposerai mai, stai perdenne sule tiempe, appriesse a mio figlio te fai na vecchia zita e rimane per la vetrina! Vuo' nu cunsiglio 'e mamma? Vavattenne, tuorne 'o paisielle tuoie e spusate a nu bellu giovane de parte toie: mio figlio nun è pe te! Francesco Caso
- Amore e gelosia (XLIX)
XLIX La porta si chiuse alle spalle di Salvatore e in un attimo Elisa ebbe come l'impressione che un vento gelido si fosse sparso per la casa. Era imbarazzata, era la prima volta che rimaneva sola con sua suocera e non sapeva proprio come doveva comportarsi. "Chesta è na vecchia 'nsiste, meglio che me ne sto con due piedi in una scarpa e faccio quello che lei mi chiede di fare", pensava, mentre con un sorriso alquanto sciocco aspettava che la suocera parlasse. – Bè, e mo iammece a cucca', è tardi e io songhe vecchia, nun tengo 'a salute ca tieni tu, peccere'... – esordì l'anziana signora, avviandosi per il corridoio della grande casa. Poi sembrò ripensarci e: – O ce vulesseme fa na bella tazza 'e cafè, eh? Che ne pensi? Elisa la guardò stupefatta: e quando mai era stata così cordiale, familiare? Il femmineo che era in lei si risvegliò in un attimo e la mise in guardia: "Chesta tene coccosa 'ncuorpe, me lo sento! M'aggia sta accorta!"... – Ma sì, mammà, sono d'accordo, facimmece na bella tazza 'e cafè, tra donne è bello, e poi con voi che io amo e stimo tanto! – Bè, mò nun esageramme, peccere'... Tu sei sempre una mia probabile nuora e io una tua probabile suocera... Nun è che tra suocera e nuora corre l'affetto eh! Piuttosto... – la vecchia era andata in cucina e con mani esperte stava caricando la macchinetta – piuttosto, dicevo – riprese a dire – mò me vuo' dicere cumme songhe iute 'e cose? Cumme è che te truove a Napule? O ti credi che io me scenghe tutte le bugie che tu e chillu maccarone 'e figlime m'avite ditte? Si girò e con quegli occhi di gatta, sorniona, fissò la giovane: – E allora? Vulimme mettere le carte in tavola? Che ne dici? Elisa decise di volare basso: "Meglio che facce 'a scema, se no qua finisce male... Ma si 'a putesse vutta' acoppa abbasce... sta vecchia 'nsiste e che ce tene"... – Mammà... ma io non capisco... davvero! Io e Salvatore vi abbiamo detto la verità! Io domani devo andare a comprare... La suocera si mise a ridere, gelida: – E va bbuone! Te ne vuoì fuì pe 'ncoppe 'e canne! E va bene! Sta nucerese, sta uagliuttella 'e paese se crede che me pò mettere 'o cappielle 'ncape! Se se se... allora visto che non vuoi essere sincera con me, giochiamo a carte scoperte: tu addò vuo' arrivà, eh? Una furia! Una iena! Elisa sbandò sotto l'urto di quell'assalto della vecchia donna e stava per rispondere per le rime, ma si trattenne: la furbizia di paese le suggerì di agire diversamente e in pochi istanti il suo bel viso fu pieno di lacrimoni che le rigavano le guance: – Mammà, mammà, vi prego... che cosa vi ho fatto, perché mi trattate così? Io vi voglio bene, voglio bene a voi e a vostro figlio Salvatore, con tutto il cuore! Vi prego, non mi fate soffrire così! Francesco Caso
- Amore e gelosia (XLVIII)
XLVIII Cenarono tutti e tre insieme e tutto sommato fu anche una gradevole serata. La madre di Salvatore fu di una gentilezza squisita con Elisa, quasi irriconoscibile, e il figlio l'avrebbe abbracciata con forza, tanto ne fu contento. "Ma vuoi vedere che sta cambiando? che quasi quasi si è rassegnata e anche l'idea del matrimonio le è entrata in testa? accussì fernisce sta iacuvella ed Elisa me la porto a Napule, ccà, a casa mia! 'A matine quanne scennimme pe Tulede e annanze 'o Gambrinus, sai che schiattamiente! sta uagliona è bella e sape veste! ate che chelli quatte sciacquette che se la tirano e poi nun sanne manche addò s'accumincia per essere eleganti!"... Questi pensieri turbinavano nella mente del poeta e lo rendevano felice: e invero, Elisa era davvero bella ed elegante, e tutte le volte che era venuta a Napoli e sottobraccio al suo uomo si era presentata al Gambrinus o a piazza de' Martiri, i complimenti e le galanterie dei maschi si erano sprecati, le occhiate di invidia e di gelosia delle donne invece l'avevano fulminata, con grande soddisfazione di Salvatore. Figlia prediletta del padre giudice, e della madre ricca ereditiera, Elisa apparteneva ad un ceto di provincia ma di condizione sociale alta: si vestiva nelle migliori sarte di Salerno e di Napoli, e aveva un gusto innato nel saper scegliere le migliori stoffe con cui le sarte le confezionavano dei vestiti splendidi, sotto lo sguardo vigile della mammà che si mangiava con gli occhi quella figlia così bella. La differenza tra lei e le invidiose napoletanine che l'avrebbero voluta fulminare con gli sguardi, era che, nonostante fosse «na provincialotta di paese», Elisa sapeva osare, sapeva scegliere colori che erano scioccanti per quei tempi così ipocritamente seriosi e riservati: la prima volta che aveva conosciuto Salvatore Di Giacomo, era entrata alla biblioteca nazionale con un vestito rosso! rosso, quando le signorine bon ton della buona società napoletana, al massimo vestivano di bianco, di nero e di grigio! Eppure il poeta l'aveva notata subito, e quel vestito rosso l'avrebbe ricordato per tutta la vita. Il verde, il giallo, il rosso e anche il nero e il bianco, le stavano benissimo: esibiva vestiti con tutte le tonalità e mai niente di stonato negli abbinamenti. Il padre spendeva per lei cifre non indifferenti, ma lo faceva anche lui con gioia: vedere quella bella ragazza passeggiare con baldanza per il paese e sapere poi dei suoi successi a Napoli, dove ormai tutti la conoscevano e l'ammiravano, inorgogliva il vecchio giudice e lo rendeva felice. Poi come Dio volle, la cena finì e giunse il momento del commiato: la madre era stata inflessibile in proposito: – Figlio mio, stasera te ne vai a dormire in albergo! Elisa resta ccà cu mme e me fa pure compagnia, ma tu nun puó durmì nella stessa casa con la tua promessa sposa, lo faccio per la sua reputazione e per rispetto ai miei consuoceri... te piacesse eh? N'atu poco figlio mio, prima te la sposi e poi sarete sempre insieme, con la mia benedizione... "Che brava donna è mia madre... e solo ora mi accorgo quanto vuole bene ad Elisa", pensava il figlio, e a malincuore ma anche confortato da come si stava mettendo la situazione, diede un ultimo casto bacio alla sua fidanzata e lasciò la casa per recarsi a dormire in un alberghetto poco distante. Francesco Caso
- Amore e gelosia (XLVII)
XLVII – Ué, peccere'... e tu che faie ccà, cu chi sì venute? a chest'ora miezze 'a via... ma è succiese coccosa? Salvatore aveva aperto la porta di casa e aveva avvisato la madre: – Mammà songhe io, vide cu chi stonghe! – Aveva detto ad alta voce, per avvisare la donna anziana, e quella si era affacciata sospettosa e aveva esordito subito alla grande. – Buonasera mammà... scusatemi l'intrusione, sono mortificata, davvero... sule che... dimane devo fare compere a Napoli, al rettifilo, mammà non si sentiva bene e allora col permesso dei miei genitori sono venuta col treno e Salvatore è venuto a prendermi alla stazione... voleva farvi una sorpresa. La povera Elisa era in soggezione, non sapeva cosa dire per apparare la sequela di bugie che era costretta a sciorinare. Insieme a Salvatore, si erano ripassati più volte che dire e come dirlo, ma la cosa non era mica facile. Si trattava di farla ad una donna scaltra e navigata, molto ma molto più astuta e furba di loro due. E infatti: – Ah... sì venuta sule tu? e a che ora sì venuta? e mammete ti ha fatto venire da sola? ccà ormai nun se capisce niente cchiù, se continua così addó iamme a ferni'! E cumme iè fatte per avvertire Salvatore, mio figlio? Gli hai scritto un telegramma ? Ccà nun è arrivato niente... 'A cosa me puzza, peccere', che è successo, diciammelle, tanto pure lo vengo a sapere! Elisa si sentì la terra squagliare sotto i piedi... che cosa poteva rispondere, quella se ne stava davanti a lei con due occhi penetranti come due trapani che la fissavano e la bucavano, come uscirsene? E meno male che intervenne il suo fidanzato che per la prima volta assunse il piglio di un uomo con la madre: – Mammà, ma la vuoi finire? ma se pò seppurta' che tu te mange 'a sta povera peccerella ogni vota che 'a vide? chella già è stanca, non la fai neanche accomodare e te la mangi viva! e no, mammà, non va bene, non va proprio bene! Elisa è la mia fidanzata, fra poco ci sposiamo pure e tu ancora fai così! allora sai che ti dico? ora me la prendo, la riporto alla stazione e la faccio tornare a casa sua e qui non metterà più piede! ma insieme a lei me ne vado pure io, per sempre! va bene così? Uaneme, che bello! Elisa si sentì letteralmente volare nell'aria! Salvatore che trattava la sua mammà in quel modo, e lo faceva per difenderla! Allora era vero, lui la amava e aveva pure detto che l'avrebbe sposata da lì a poco! Grande, grande, quando sua madre l'avrebbe saputo, avrebbe fatto salti di gioia! La vecchia intanto si era girata verso il figlio, sbigottita e furiosa come una tigre. Stava per assalirlo, ma vide qualcosa negli occhi dell'uomo che la trattenne: "'O scemo stasera è innamorato! mò qualunque cosa dico facce male! meglio che facce a vedè che me la tengo, iucamme vasce vasce, poi a chella vipera ci penso io", pensò in pochi attimi, e subito si adeguò alla nuova strategia. – Hai ragione, figlio mio... – esordì con un sospiro, – certi vote io esagero e non mi rendo conto, ma songhe vecchia, sto sola per ore e ore e... Elisa, entra, entra... avete cenato? no, eh? Mò ci penso io, non vi preoccupate, andatevene in salotto soli soli, ve lo meritate, io vado in cucina a preparare qualcosa... mezz’ora e troverete tutto in tavola... vai figlia mia, vai... E zoppicando un po' si diresse verso la cucina. Francesco Caso
- L'organista azzoppato e l'alluvione
Dai lontani ricordi di infanzia una lettura sul libro di scuola. Un'alluvione, gli uomini del paese impegnati a riparare l'argine del fiume mentre le acque tracimano. I bambini appena usciti di scuola sorpresi dall'alluvione che si rifugiano in chiesa e, terrorizzati, guardano l'acqua salire intorno a loro, assembrati sull'altare maggiore. L'organista della chiesa, ferito ad una gamba, che, non in grado di correre insieme agli altri all'argine crollato, stava sistemando un guasto del grande strumento. Richiamata l'attenzione dei piccoli, dall'alto della cantoria, li fa cantare per smorzare la loro paura. Ed infine i soccorritori che restano sbalorditi trovando la chiesa allagata, l'organo a tutto volume e le voci argentine di un canto di bambini. Il tutto mentalmente ambientato nella Chiesa Madre della mia terra... Francesco Di Nardo
- Uomini coraggiosi e coerenti: monsignor Giandomenico Falconi
Monsignor Falconi era nato a Capracotta, provincia di Isernia in Molise, nel 1810. Era laureato in utroque iure (diritto civile e canonico) e in Sacra Teologia. Nel 1848 fu nominato da Pio IX vescovo di Acquaviva delle Fonti e Altamura. Nell'elogio funebre di Ferdinando II, fatto da Mons. Falconi, si mette in risalto la "nuova" politica economica dei Borbone nei più svariati campi della tessitura, della fonderia, della ceramica ecc., settori economici che ebbero grandi riconoscimenti nelle nazioni straniere, l'amore per le belle arti, realizzato chiamando nel Regno le persone più qualificate del mondo scientifico, accademico e artistico, le calorose ed entusiastiche accoglienze riservate alle visite del Re, la venerazione della Vergine Maria quale Patrona principale del Regno (Ferdinando II fece erigere a Roma in piazza di Spagna la colonna dell’Immacolata), ma vien posto in rilievo anche il clima di assedio culturale che il Regno delle Due Sicilie venne a vivere nel resto d'Europa ed il suo progressivo isolamento. Giova riportare la seguente frase, con cui l'autore Luciano Rotolo chiude questa interessantissima indagine storica: «Ancora una volta dedichiamo questo volume sia a coloro che ieri, come Mons. Falconi, non divennero squallidi doppiogiochisti o gattopardeschi cambia casacche, sia a coloro che, ancor oggi, testimoniano con coraggio la fedeltà ai propri ideali sprezzanti delle possibili conseguenze». Monsignor Falconi morì nel 1862, a 52 anni. Oggi, una strada nei pressi della Cattedrale di Altamura porta il suo nome «come ricordo e testimonianza di un vescovo che amò la sua diocesi pugliese, al punto da morirne di nostalgia». Raffaele De Cesare, noto scrittore nato a Spinazzola, lo ricorda in diverse pagine della sua corposa opera "La fine di un regno", e lo storico Rocco Biondi di Villa Castelli (BR) così scrive, recensendo l'ottimo studio di Luciano Rotolo: «Nel 1861 il Governo invasore piemontese colpì con violente misure repressive i cinquantaquattro Vescovi delle diocesi dell'ex Regno delle Due Sicilie. Solo undici si salvarono da questa ignobile operazione, perché salirono sul carro dei piemontesi. Gli altri quarantatré, che erano rimasti fedeli all'ex Regno, o furono arrestati o costretti a fuggire». Carlo De Luca Fonte: C. De Luca, Il rivolgimento del 1860, Paginaria, Polignano a Mare 2019.
- «Non ostentazione, ma sobrietà»
Mario Iannetta è un fiume in piena. Torrenziale, appassionato, prodigo di aneddoti e dettagli: nonostante la giovane età, traspaiono una preparazione e un entusiasmo unici. La sua sartoria, nel centro storico di Bojano (Campobasso), è un avamposto della tradizione: merito di un apprendistato iniziato all'Accademia nazionale dei Sartori e proseguito presso i più grandi atelier, in particolare la sartoria Aloisio. La sua giacca ha un'eleganza classica rigorosa, con linee semplici e pulite, con una vestibilità che non disdegna la contemporaneità. L'intera lavorazione è svolta a mano con stoffe naturali, senza l'uso di adesivi o di fibre sintetiche. Per quanto riguarda il Trofeo Arbiter, Iannetta non ha nutrito dubbi al momento dell'iscrizione: «Ho sempre sentito parlare con nostalgia di questo evento dai miei maestri. Mi veniva raccontato non solo come momento di confronto, ma anche come una festa per i sarti e gli amanti del fatto a mano. Se non fosse per "Milano su Misura", io e i colleghi non potremmo mai incontrarci tutti in un unico luogo. Inoltre, amo le sfide: non tanto con gli altri, ma soprattutto con me stesso. Sarà un'occasione unica per conoscere filosofie della sartoria diverse dalla mia e per mettermi in discussione. Non ho aspettative sull'esito del Trofeo, voglio coltivare un atteggiamento mentale aperto verso l'inaspettato». Il giovane maestro si dimostra entusiasta all'idea che Arbiter si faccia garante di un «Sistema su Misura Italia» della sartoria e dell'artigianato: «È un'idea fantastica. Da queste parti, c'è un antico proverbio che recita: "Se vuoi andare veloce, vai da solo; se vuoi andare lontano, vai in compagnia"». Nondimeno, ammette di avere qualche dubbio sulla fattibilità del progetto: «Spesso i sarti anziani danno la colpa al governo per lo stato in cui versa il mestiere, ma secondo me è il loro atteggiamento di gelosia per i segreti della lavorazione ad allontanare le nuove leve. "Si ruba con gli occhi", ripetono sempre per schermirsi, ma un vero maestro non ha paura di farsi vedere. Bisogna abbattere questo muro di immaturità se vogliamo creare una vera coscienza di categoria». Iannetta nutre un altro sogno ambizioso: riportare la sartoria molisana alla grandezza di un tempo. «Nel '900, dal paese di Capracotta sono espatriati più di mille sarti, poi divenuti celebri sia nei Paesi d'approdo, sia in Italia una volta tornati. Per esempio Ciro Giuliano, il preferito di Totò e di Anna Magnani. Voglio creare una sorta di scuola diffusa per riportare le maestranze nella mia terra». Non stupisce che un uomo così volitivo abbia le idee chiare su cosa sia per lui il su misura: «Al contrario dei marchi di moda, i cui abiti sono fatti per ottenere l'approvazione degli altri, il su misura deve rispondere solo alle tue regole interiori. L'eleganza non è ostentazione, ma sobrietà. È essere se stessi» Alessandro Botré e Benedetto Colli Fonte: A. Botré e B. Colli, Il filo che unisce l'Italia, in «Arbiter», XX:207-43, Milano, giugno 2020.
- Impressioni e ricordi d'Abruzzo
Dopo un'ora di corsa la ferrovia abbandona i vasti piani. Ora la valle è diventata più stretta e il Sangro corre a gara con il treno. Come un'apparizione del Medioevo, vedo da lontano Castel di Sangro che domina tutto il paese con i ruderi del suo ampio castello e le due torri della chiesa. Le ultime case scendono fino alla pianura; il tutto immerso nella luce porporina del tramonto. Il sole è riuscito a forare i grigi nuvoloni e inonda prima di scomparire il paesaggio con i suoi ultimi dardi di fuoco. Appena uscita dal treno, mi ritrovo con la mia valigia, seduta fra due carabinieri nella vettura che va al paese. La diligenza è di una primitività e di una semplicità commoventi. Il sedile non ha più paglia e pezzi di tela grigia fanno le veci dei vetri mancanti. Sono indirizzata all'albergo di Roma, nome pomposo che nasconde, come generalmente in questa regione, una casa di infimo ordine. E purtroppo è così! Al Roma un cameriere, a turno facchino, servitore e macellaio, fa il servizio di tavola con il berretto in testa, un mozzicone di sigaro in bocca e le mani poco pulite. Mi fa l'effetto di un mezzo brigante e penso di chiudere bene, la sera, l'uscio della mia camera! Ma, ad onore dell'albergo Roma, devo dir che non sono mai stata molestata, però ero lieta di lasciare dopo due giorni quella casa poco rassicurante. Se dopo una notte di tempesta, il cielo è tornato sereno, che m'importa se le finestre non chiudevano bene, se il letto era duro e le tende logore? Uscendo dall'albergo sono avvinta dal fascino della piccola città medioevale. Le strade lastricate e strette come androni, girano fra austeri palazzi e case vecchie. La città è dominata tutta dalla sua chiesa e scende in terrazze fino alla grande piazza. La chiesa parrocchiale è resa interessante dagli affreschi insigni del Solimena nel coro. La figlia del sagrestano mi fa vedere con ingenuo orgoglio le quattro Madonne in una foggia che si avvicina all'idolatria: abiti scintillanti, profusione di gemme sul petto e nelle dita affusolate, piedi calzati di scarpette dorate e un diadema sul capo! Bisogna esser nati nel Mezzogiorno per poter unire al sentimento mistico tanta precisione di particolari pagani. Io non potrò mai capire questo contrasto tra la semplicità del dogma cristiano e la forma pagana di cui l'ha rivestito il popolo minuto dell'Italia meridionale. Dalla chiesa di Castel di Sangro, si sale per una salita penosa alla rocca che fu il superbo castello medioevale dei conti de' Marsi. Le intemperie e il tempo che tutto annulla, sono passati su quei fieri massi di pietre e hanno sgretolato e rovesciato ogni muro nella loro continua opera di distruzione. Solo la chiesetta solitaria e il piccolo campanile si sono conservati intatti, abbandonati ora all'umidità e alla solitudine. Il custode, vecchio al pari delle sue rovine, mi apre l'unica cappella tutta affrescata di antichi dipinti del 400. II tabernacolo d'oro sull'altare mi colpisce con i suoi riflessi aurei ed azzurri che illuminano il piccolo santuario. In forma di tempietto, esso è custodito da soavi figure di santi dipinti su sfondo d'oro sulla tavola dell'altare. Esco per entrare nel piccolo cimitero, tutto croci ed erbacce, che va morendo intorno alla chiesa e simboleggia l'abbandono e la decadenza di ogni cosa terrestre. In un buco del muro alcuni teschi macabri ghignano allineati su una mensola, simbolo più atroce della fralezza umana. Del castello non rimangomo che alcuni grossi massi di mura sgretolate e qualche moncone di spigolo che da lontano danno l'illusione di un'alta torre isolata. In mezzo ai sassi e ai cespugli fioriscono dappertutto bianchi, morbidi, profumati fiorellini dai petali così vellutati e incolori che mi rammentano la nostra nivea stella alpina. Il panorama da questa alta rupe sulla valle del Sangro e sull'Appennino Marsicano è bellissimo. Vedo in basso la pittoresca città di Castel di Sangro con le sue chiare e liete case che scendono fino al fiume. Sulla costa rocciosa di una montagna ho la visione gentile di Capracotta, paese elevatissimo e biancheggiante nelle sue numerose caselle sparse sul pendio boscoso del monte. Il custode mi ha narrato il tetro dramma che si svolse secoli fa attorno a quella fortezza. Ricostruisco con l'aiuto della fantasia la fosca scena e vedo Lollio, il truce guerriero sannita che fugge dal campo romano, e inseguito, ripara su questa rupe minacciosa. Già l'assalto del nemico sembra fallito per l'orrenda bufera di neve che si è scatenata sul paese, quando un raggio di luna, forando le nubi e illuminando all'improvviso l'erta roccia, rivela ai romani l'accesso al castello. Lollio fu trucidato e il castello dislrutto. Dicono che nelle notti di neve e di tempesta, l'ombra accasciata del fiero guerriero si mostri irrequieta tra i ruderi deserti e silenziosi. Castel di Sangro è patria di Teofilo Patini; nel cortile della sua casa si trova il gruppo realistico di una Madonna quattrocentesca col Bambino, di fattura un po' rigida. Pochi passi più in là, ammiro la nobile e antica Casa del Leone in pietra scura e liscia con bifore di squisita grazia, e la torre tronca che prende il nome dal grosso leone di pietra che vigila alla sua porta. Bella casa caduta in mano di povera gente, meriteresti un destino più degno della tua nobile origine! L'automobile postale mi porta l'indomani direttamente alla valle del Sangro che si stende da Barrea a Gioia Vecchia in piani verdeggianti e boschi sconfinati. Da Alfedena-Scontrone, la strada sale serpeggiando fino a loccare il pittoresco paese di Barrea, addossato in mezzo al verde cupo dei boschi e guarda la nudità della valle sottostante. Dopo due ore di corsa veloce, appaiono in una bella pianura l'oasi di Pescasseroli, il vasto cerchio di monti spogli e la macchia scura delle sue illimitate e vergini foreste. (1926) Maria Olgiati Fonte: M. Olgiati, Impressioni e ricordi d'Abruzzo, in «Quaderni Grigioni Italiani», I:4, Bellinzona, 1° luglio 1932.
- Uscite nell'Alto Molise
Molteplici uscite del Gruppo Speleologico e C.A.I. Napoli nell'Alto Molise, hanno contribuito a individuare ed esplorare alcune cavità interessanti. Durante l'anno battute nell'area di Venafro, valle di Miranda, Capracotta, hanno evidenziato le potenzialità esplorative di queste zone ancora incontaminate "speleologicamente". Importante è stata la collaborazione con grossi gruppi speleologici locali come quello del Matese e di Campobasso, soprattutto nelle operazioni esplorative. L'attività regionale, tenendo costantemente occupato il gruppo napoletano, non ha permesso di approfondire la conoscenza del territorio in questione, per cui in attesa di una campagna esplorativa, riportiamo il rilievo effettuato su una prima cavità visitata nell'area di Capracotta e sita sul M. S. Nicola (1.517 m.). Ubicazione Percorrendo la strada che da Capracotta conduce ad Agnone (direzione verso Passo Regina) si giunge vicino dei grossi casolari, verso nord è ben visibile il M. S. Nicola. Salendo lungo la cresta (seguire i pali del metanodotto) si arriva in uno spiazzo (30 minuti circa a piedi), subito dopo lo sterrato aumenta di pendenza bruscamente. Proprio da questo spiazzo immettendosi nel bosco del versante nord, dopo pochi metri sotto un grosso masso vicino un canalone è la piccola entrata della grotta. Descrizione Dal rilievo della cavità trattata è possibile dedurre che la grotta di S. Nicola sia di genesi tettonica. La direzione costante est-ovest degli angusti meandri, indicano la possibile presenza di un piano di faglia lungo la stessa, inoltre le creste del M. S. Nicola anche esse direzionate a 90° N. M. affermano questa ipotesi. Oltretutto la cavità è caratterizzata da un lungo camminamento stretto e alto caratterizzato da numerosi crolli, assenti le concrezioni, attività di infiltrazione di acqua è visibile verso la zona di frana, che presenta gran quantità di fango biancastro ricco di carbonato di calcio. Interessante strutturalmente la presenza di una faglia di di rezione NW-SE che disloca il condotto per circa 4 rn. in larghezza e per 6 m. di profondità; il piano di essa immergente a 215° è ben visibile anche perché bisogna proseguire lungo questo. Non c'è dubbio allora che processi tettonici secondari siano subentrati in seguito alla attività della fascia strutturale e principale del M. S. Nicola. L'obbiettivo esplorativo era di potersi immettere in una serie di ambienti carsici intercettando vie sotterranee di deflusso d'acqua, non trovando punti di assorbimento superficiale, l'idea era di ricercare un ingresso lungo fratture e faglie; la frana finale superabile solamente e non facilmente mantenendosi molto in alto nel meandro, non è stata ancora tentata di superare. Strutture dovute al passaggio di acqua non sono state osservate, mentre una intensa frequentazione animale (soprattutto insetti) caratterizza buona parte della cavità. Altre grotte sono state esplorate dal gruppo nel la stessa zona (sul M. Campo), ma crolli e frane impediscono attualmente il passaggio. Aurelio Nardella Fonte: A. Nardella, Uscite nell'Alto Molise, in «Notiziario sezionale del Club Alpino Italiano», Napoli, dicembre 1997.
- Evidenze romane sul Monte Capraro di Capracotta
Il sestante (in lat. sextans) era una moneta in bronzo emessa durante la Repubblica romana. La moneta valeva un sesto dell'asse, cioè 2 once, tanto da esser caratterizzata da due globuli che ne indicavano, numericamente, il valore legale. Il mio amico F. A. ne ha trovata una, qualche anno fa, in territorio di Capracotta, grazie a un comune metal detector, ad appena una decina di centimetri dal suolo. Non è tanto la moneta in sé a destare il mio interesse, men che meno il valore commerciale o numismatico, piuttosto il luogo preciso del rinvenimento: l'ex monastero di S. Giovanni Capraro, proprio a due passi dall'acquasantiera, dal pozzo e dalle mura perimetrali di quell'antico presidio benedettino. E che, a questo punto, forse esisteva ben prima che si diffondesse la regola di san Benedetto da Norcia (480-547). Che la moneta fosse a poca profondità dalla superficie del terreno lo si può spiegare col fatto che, riposando esattamente sulla cresta di Monte Capraro, gli agenti atmosferici hanno via via sciolto il fango soprastante piuttosto che accumularlo, come invece sarebbe accaduto a valle. Tuttavia, la moneta era interamente ricoperta da una spessa patina e soltanto dopo una lunga pulizia sono emerse le effigi e la scritta. Il sestante in questione, infatti, è del tipo più comune, con la testa di Mercurio al dritto e la prora di una galera al rovescio, e l'inequivocabile dicitura ROMA che, cronologicamente, lo inquadra fra il 217 e il 211 a.C. Questa moneta era diffusa in molte città dell'Italia centrale, il che porta a pensare che Capracotta, sul finire del III secolo a.C., stava completando il suo processo di romanizzazione, che sarà definitivo allorquando, una manciata di anni dopo, un rito apotropaico di devotio assegnerà un nome a quelle aspre alture: Capræ Cottæ, le capre di Gaio Cotta. Ma veniamo alla questione del monastero, la cui presenza è attestata poco dopo l'anno Mille grazie al Registrum Petri Diaconi conservato a Montecassino e, a cascata, grazie a una serie di cause e donazioni che investirono tutti i presìdi religiosi a quel tempo attivi sulla dorsale del Capraro: la Chiesa di S. Nicola di Vallesorda, la Chiesa dei SS. Simone, Giuda e Lucia, fino alla Chiesa di S. Giovanni oggi in territorio di San Pietro Avellana e ad altre badie di cui s'è totalmente persa memoria: la Chiesa di S. Lorenzo, la Chiesa di S. Pietro della Serra, la Chiesa di S. Angelo, la Chiesa di S. Stefano e la Chiesa di S. Martino. Il ritrovamento di un sestante romano all'imbocco del nostro monastero potrebbe allora rafforzare la mia ipotesi secondo cui la piccola badia di S. Giovanni Capraro sorgesse su una precedente struttura di epoca romana, non per forza di tipo religioso. Lì stava forse un posto di guardia o - e qui entriamo nella parte più avvincente della faccenda - lì era eretta quella «columna marmorea, que finis fuit de jam dicto comitato Ysernino», menzionata in un manoscritto dell'anno 964: quella colonna marmorea che, ben prima dei Longobardi, segnava il termine del territorio d'Isernia. Dissolto l'Impero romano, i benedettini non fecero altro che sostituire il pilastro, simbolo della Roma pagana, con un cenobio religioso che mandasse in deliquio le divinità romane e che effettivamente conobbe l'apogeo soltanto tra l'XI e il XII secolo. Può, allora, una semplice moneta di bronzo raccontare una storia lunga oltre due millenni, coinvolgere tanti elementi (storici, religiosi, politici, architettonici) i quali, legati assieme, riescono a spiegare la Capracotta attuale? Francesco Mendozzi
- La morte di Filiberto Castiglione
A ricordare Filiberto Castiglione, a serbare memoria della sua esemplare esistenza saranno tanti e tanti molisani, sia quelli che con lui ebbero dimestichezza e confidenza familiare, sia quelli che per ragioni di lavoro avevano frequenti contatti, sia quelli che, pur conoscendolo appena, ne avvertirono ugualmente gli slanci umani del suo cuore, che si esprimeva subito nel tono spontaneo e cordiale del dialogo. E al tempo delle prime esperienze professionali nella capitale, e negli ospedaletti da campo mentre infuriava la guerra sulle terre del Veneto, e nella sua amatissima Capracotta, e nella ospitalità calda di Baranello ed infine a Campobasso, dove la stima e la simpatia divamparono presto intorno a lui. In queste tappe del suo cammino terreno Filiberto Castiglione, abituato ai generosi impulsi del carattere franco, leale, affrontò ogni situazione, accettò ogni responsabilità, specialmente quando il popolo gli affidò il compito di rappresentarlo. E quando fu necessario pagò di persona con la dignità di chi non ha nulla da rimproverarsi, ma è travolto dalla ineluttabilità degli eventi. Filiberto Castiglione ebbe inoltre il culto della famiglia, dell'amicizia, della solidarietà. In questo campo fu un esempio di sollecitudine e di generosità perché si curvò sulle sofferenze come un umile samaritano. Aver considerato per tutta la vita questo compito come una missione è titolo che da solo spiega il rimpianto con cui tanti hanno appreso, all'improvviso, che proprio nella Settimana Santa Filiberto Castiglione aveva concluso cristianamente la sua esistenza terrena. Fonte: Cronaca del Molise, in «Il Tempo», Roma, 29 aprile 1973.
- Amore e gelosia (XLVI)
XLVI – E mò addó jamme? Nun putimme mica sta miezze 'a via... però, che bella avventura! Sule nuie miezze Napule! Si 'o sapessero le mie amiche a Nucera, sai che scandalo! Me fanne rimane' zitella pe tutta 'a vita, si tu nun me spuse! Elisa era letteralmente in preda ad una eccitazione che la faceva fremere: libera, libera come a quei tempi non si concepiva neanche! Solo le donne sposate potevano, col marito, permettersi di andare in giro a perdere tempo, entrare in un caffè e sedersi a tavolino, incontrare amici al di fuori dei rigidi salotti casalinghi e magari permettersi anche di ridere ad alta voce nelle strade: era una sensazione unica. Salvatore la riportò subito coi piedi a terra: – Amore mio, a me piacerebbe anche più di te starmene per le strade in tua compagnia, magari poi andare al Gambrinus e passare la serata con gli amici... ma... – fece un gran sospiro, gli costava dire le parole che stava per pronunciare... – c'agge pensate, io ti voglio bene overamente... Vedi che per me è nu sacrificio enorme, ma dobbiamo andare a casa mia, mò pigliamo una carrozza e andiamo, da mammà... Ad Elisa sembrò come se il mondo cominciasse a cadere e non potesse muoversi per scansarlo... – Accussì? subbete subbete? no, no, Salvato' ti prego! fammi godere prima nu poco sta libertà, puorteme sul lungomare a fare una passeggiata, poi andiamo a prendere un caffè... No! Aspetta andiamo a cenare in quella trattoria che sta dietro piazza de Martiri, cumme se chiamme? Salvatore scosse la testa con rammarico: – No, amore mio! Io proprio questo avevo pensato di fare... E magari pure coccosa 'e cchiù... ma poi? Si mammà vene a sape' che stai ccà e te ne vai giranne pe Napule accussì... uh Madonna mia e chi la ferma! Già la sento... chella è na sfrenata, na senza Dio, na peccatrice... Lassale a chesta nucerese, pigliati na donna di chiesa... e così via! 'A guerra, Elisa, 'a guerra! Aveva ragione! E come aveva ragione! Era già sera, dove sarebbe andata a dormire se non fosse andata subito a casa della suocera? – È c'è di più... – continuò il poeta, – mò andiamo a casa, diciamo a mammà che ceniamo con lei e che domani mattina tu devi fare delle spese al rettifilo, perciò dormirai a casa, poi io dovrò andare a dormire in albergo, mica possiamo passare la nottata nella stessa casa senza essere sposati, sarebbe sconveniente e mammà non ce lo fa fare... Tutto quanto aveva fatto per nulla! La sua fuga si era ridotta ai minimi termini, ora avrebbe dovuto rientrare nei rigidi ranghi predisposti dalla morale corrente e dal perbenismo ipocrita imperante: la povera donna si piegò al ragionamento amaramente esatto del suo fidanzato. – Cumme vuo' tu Salvato'... – mormorò piegando un poco il capo con modestia e tanta femminilità, – cumme vuo' tu. – Ripeté a voce più bassa, ormai domo il suo spirito ribelle. A Salvatore si spezzò il cuore: come era delusa, la povera ragazza! E anche lui, stava facendo un sacrificio enorme! Se non l'avesse amata tanto, se non l'avesse scelta come la donna della sua vita, sai che serata, e sopratutto che nuttata 'e sentimiente! Ma con Elisa no, non poteva, doveva prima di tutto salvaguardarle la reputazione. E dunque... a casa, da mammà! C'era una carrozza libera col cocchiere che li guardava insistentemente da parecchio, nella speranza che si decidessero ad andare in qualche posto. Gli fece un cenno e quello subito fece sferragliare le ruote di legno sotto la forza di tiro del cavallo. Salirono e la carrozza partì, diretta a casa di Salvatore, dove mammà attendeva che il figlio si ritirasse: stavolta avrebbe avuto proprio una bella improvvisata... Francesco Caso
- Vanpolitan a Capracotta (II)
Oggi la sveglia suona prima del solito. Sono le 6:00, mi alzo ed indosso abbigliamento da trekking per fare una passeggiata a Prato Gentile con Nicole e Francesco. L'appuntamento è alle 8:00 ma mi sveglio con netto anticipo per sistemare Ulisse e fare le cose con calma. Una volta sistemato tutto, vado al bar dello Sci Club Capracotta a prendere un caffè. Stamattina, a differenza di ieri, trovo la sig.ra Rosetta. Scambiamo amichevolmente due parole mentre prendo il caffè. Il rituale di prendere il caffè al bar la mattina nasce fondamentalmente perché: è un modo per chiacchierare ed avere un primo approccio con qualcuno del posto, è un'ottima alternativa al centro informazioni o proloco se assente o ancora chiuso, è un pretesto per andare in bagno ed è un modo per non sporcare il fornellino e la macchinetta del caffe che dovrei poi lavare per strada. Dopo un pò che chiacchieriamo, la sig.ra Rosetta mi mette a fuoco e mi confessa che la figlia le ha parlato di un ragazzo che con il suo furgoncino colorato sta girando il Molise. Sono le 7:30, vado fuori al forno Capracotta, dove ho appuntamento con Nicole e Francesco, e mi siedo ad una panchina lì vicino. Qualche minuto dopo arriva Nicole, con la sua meravigliosa cagnolina Pippi, e si siede anche lei in attesa che arrivi Francesco. Iniziamo a parlare e le chiedo come mai da Modena fosse arrivata a Capracotta. Nicole mi spiega che vive con il fidanzato al Castel del Giudice, paesino a qualche chilometro da Capracotta, e che si trova a Capracotta perché amica di Antonio. Quattro anni fa Nicole ed il fidanzato hanno avviato un'interessante iniziativa chiamata "scuola nel bosco". La scuola ha la finalità di far conoscere ai più piccoli la flora del bosco alto molisano e far scoprire i molteplici usi di queste piante nella quotidianità. E, così come la casa delle erbe a cui Nicole aderisce, la scuola si prefissa l'obiettivo sensibilizzare i bambini ad una filosofia di vita ecologica incentrata sulla riduzione degli sprechi ed il riutilizzo dei materiali. Mentre parlo con Nicole, arriva Francesco. Io e Nicole ci alziamo e tutti insieme andiamo all'auto di Nicole per raggiungere Prato Gentile. Parcheggiamo ed iniziamo la nostra camminata in uno dei percorsi ad anello utilizzati in inverno per lo sci di fondo. Il sentiero è costeggiato da meravigliosi alberi di faggio e tassi che fanno ombra lungo l'intero percorso. Nel sottobosco è possibile ammirare diverse specie di piante in fiore ed immense colonie di licheni in prossimità della base dei tronchi degli alberi. Nel bosco non si sente nulla ad eccezione del cinguettio degli uccelli ed il riverbero delle nostre voci. Mentre passeggiamo, i ragazzi mi spiegano che in quella parte del bosco è evidente che in passato i faggi siano stati tagliati per la significativa presenza di polloni. I polloni, mi spiegano, sono dei rami che si sviluppano ai piedi dell'albero a seguito del taglio del tronco. Proseguiamo la passeggiata e ci imbattiamo in un sentiero ricco di fragoline di bosco. Mai assaggiate prima. Ne mangio una, ha un sapore più amarognolo ma molto più deciso di quelle di coltura. Mentre camminiamo, sono incuriosito dal tatuaggio di Francesco che si intravede sotto la manica della camicia. Gli chiedo cosa fosse tatuato. Si alza la manica della camica e mi mostra per intero il tatuaggio. Mi spiega che si tratta di una illustrazione di santa Lucia tratta dalle "Cronache di Norimberga", uno dei più importanti libri stampati nel XV secolo. Continua e mi dice che è un grande appassionato e cultore di estetica medievale. A quel punto inizio a capire come mai avesse un modo di parlare, vestire e muovere di altri tempi. Guardando le piante e gli alberi del bosco noto che su alcune foglie di faggio ci sono dei bozzoli. Chiedo ai ragazzi cosa fossero e Nicole mi risponde che si chiama galla ed è la reazione dell'albero al morso di un insetto. Per analogia, continua Nicole, è come se fosse l'eruzione cutanea di una persona ad una puntara di zanzara. Terminato il sentiero, decidiamo di sederci su un letto di foglie secche all'interno della faggeta. Una volta seduti, Francesco apre la bisaccia ed offre il suo gustoso pane di farina bianca con olive nere e cumino e l'inebriante infuso di menta, rosa e cannella. Terminato lo snack, Francesco ci regala un meraviglioso momento di armonia e relax suonando per noi prima il bansuri, poi il tin whistle ed infine il salmoè. Terminata la performance, lo ringrazio per l'incantevole momento di magia e bellezza. Nicole inizia a sentire freddo e decidiamo di alzarci e passeggiare nella radura di Prato Gentile. Camminiamo ancora per un po' poi i ragazzi decidono di voler tornare a Capracotta. Entrati in auto, chiedo a Nicole di lasciarmi in prossimità della croce piegata perché desidero percorrere il sentiero che conduce in cima al Monte Campo. I ragazzi mi sconsigliano di incamminarmi per i sentieri visto che sono le 12:30 circa e fa molto caldo, oltre il rischio di trovare qualche vipera in giro. Insisto a lasciarmi lì e li tranquillizzo che non mi sarebbe successo nulla. Ci salutiamo ed inizio a percorrere il sentiero. All'inizio del percorso è stata collocata la precedente croce di Monte Campo che si è deformata a causa di una forte bufera di neve nel 1981. Continuando lungo il sentiero, mi imbatto in meravigliose opere d'arte a cielo aperto. Rocce scalfite con lo scappello dalle quali emergono dei capolavori. Resto incantato dal meraviglioso cervo e dalla croce che schiaccia la testa del serpente. Proseguo camminando verso la chiesetta di Santa Lucia. Dalla chiesetta, mi immetto sul sentiero che conduce al Monte Campo. La distanza chiesa di Santa Lucia-Monte Campo non è molta; mentre lo è invece il dislivello infatti si passa da 1.540 m.s.l.m. a 1.746 m.s.l.m. in meno di 40 min di percorso. Man mano che cammino ho la sensazione di essere in un ascensore, ad ogni pausa sembra di aver fatto un piano. Fa caldo, molto caldo. Fortunatamente all'inizio del percorso è presente una fontanina e ne approfitto per riempire la borraccia e rinfrescarmi un po'. Continuo a passeggiare è vengo avvolto dal suono stridente ed insistente delle cavallette. Arrivo in cima e godo di una vista unica. Da un lato è possibile chiaramente vedere Pescopennataro ed il piccolo eremo di San Luca; mentre dall'altro lato è possibile scorgere l'intera vallata e Capracotta dall'alto. Decido di fermarmi in cima per godermi il panorama e fare sosta pranzo. In un momento di leggerezza decido di togliere maglia, cappellino ed occhiali e questo mi costerà cara ma me ne rendo conto solo la sera quando inizio ad accusare tutto il sole preso. Resto in cima un paio d'ore, mi sistemo e prendo il sentiero per Capracotta. Arrivato a Capracotta, mi sento un pò fiacco e decido di prendere un caffè. Vado al bar dello Sci Club Capracotta e trovo di nuovo la sig.ra Rossetta. Mentre sorseggio il caffè, mi chiede come fosse andata la mattinata. Le rispondo e le chiedo alcune informazioni su Capracotta e sul Sci Club Capracotta. Mi racconta che Capracotta è una meta turistica tutto l'anno e soprattutto in estate quando il borgo si riempi di turisti e di persone locali che vivono in altre città. Visto il caldo, la sig.ra Rossetta mi inviata a rimanere sotto gli ombrelloni del bar per stare un pò al fresco. Accetto l'invito e ne approfitto per scrivere il diario del giorno precedente. Resto seduto lì per un bel po'. Completato il diario del giorno precedente, saluto la sig.ra Rosetta e torno da Ulisse per riprendere il viaggio verso Agnone. Sembra che il caffè abbia fatto effetto e mi riprendo un po'. Preso dall'efuria dello stupefacente panorama offerto dalla strada che conduce ad Agnone, inizio a cantare a squarciagola la canzone "Il mondo" di Jimmy Fontana: Gira, il mondo gira Nello spazio senza fine Con gli amori appena nati Con gli amori già finiti Con la gioia e col dolore Della gente come me Oh mondo Soltanto adesso io ti guardo Nel tuo silenzio io mi perdo E sono niente accanto a te Il mondo Non si è fermato mai un momento La notte insegue sempre il giorno Ed il giorno verraaà... lalala... verraaà... Terminato il momento romantico, decido di mettere l'allegro e folkloristico album "Na uascezz" dei meravigliosi e strabilianti Ragnatela Folk Band, gruppo scoperto durante i miei tre anni a Matera. Arrivo ad Agnone verso le 18:30 e decido di voler iniziare la mia visita l'indomani perché inizio ad accusare un pò di stanchezza. Visto che è presto, penso di fare un salto alla Pro Loco per procurarmi la mappa della città ed avere un'idea di tutti i punti d'interesse in modo da essere gia organizzato il giorno successivo. Inizio a percorrere il corso principale di Agnone, via Marconi, e vengo incuriosito da alcune comunicazioni che sento trasmesse "Si avvisano i cittadini...". Mi guardo intorno e noto che lungo gli edifici sono installate delle casse che permettono la filodiffusione. Semplicemente grandioso. Proseguo la passeggiata verso la Pro Loco e vengo attratto da un negozio che vende oggetti in rame. C'è un signore all'ingresso, il sig. Paride, e gli chiedo se posso dare un'occhiata e scattare qualche foto. In primo momento credo che l'esposizione avvenga in un unico locale e gironzolo al suo interno e scatto qualche foto. Dopo un po' il sig. Paride mi invita a visitare anche una seconda sala adiacente che non avevo notato. Entro e resto incantato dagli oggetti esposti. Non so dove iniziare a guardare. Sono perso in quello spettacolo. Ci sono bellisimi e ricercati oggetti: campane, statue di bronzo, animali in rame, lampade e tante altre cose. Un bazar della bellezza. Inizio a chiacchierare con il sig. Paride e mi dice che il negozio è del figlio e lui va al negozio per dare una mano. Continuo a girare per il negozio quando ad un cwrto punto arriva il proprietario, Filippo. Filippo vedendomi mi dice che sa chi sono perché ha visto un mio post condiviso da Veronica "la matta", proprietaria de "La Cantina 1959", e che da quel momento segue la mia pagina. Chiacchieriamo un po' e mi invita l'indomani per prendere un caffè insieme e per mostrarmi come avviene la lavorazione del rame. Saluto Filippo e faccio due passi per raggiungere il belvedere della chiesa di San Marco per vedere il tramonto e per mangiare qualcosa. Dopo mangiato inizio ad accusare una forte stanchezza, mal di testa e mi sento accaldato. È stato l'intenso sole preso a pranzo sul Monte Campo. Torno al furgoncino, mi sistemo e mi sdraio per recuperare un po' di energie. Francesco Cositore Fonte: https://www.facebook.com/, 7 luglio 2022.
- Vanpolitan a Capracotta (I)
La tappa più alta affrontata finora da Ulisse: Capracotta, 1.420 m.s.l.m. Orgoglioso del mio Ulisse. Il nostro motto è "chi va piano, va sano e va lontano" ed Ulisse con i suoi 60 km/h in pianura e 20-40 km/h in salita ne sa qualcosa. Sono le 8:30, sono sul corso principale di Capracotta e per strada non c'è ancora nessuno. Entro nel bar del Sci Club Capracotta e prendo un caffè. Chiacchiero con il barista e chiedo cosa posso vedere in giro. Mi raccomanda la chiesa madre di Santa Maria Assunta con il vicino belvedere ed il Museo di civiltà contadina e dei vecchi misteri presente all'interno del comune di Capracotta. Mi incammino per il viale che conduce alla Chiesa Madre. L'incantevole chiesa madre è rialzata rispetto alla strada e la sua facciata e la torre del campanile posso essere ammirate già in lontananza. Accanto alla chiesa madre è presente un magnifico belvedere dal quale è possibile ammirare l'intera vallata e le montagne abruzzesi. Visitata la chiesa, resto seduto su una panchina all'ombra ad ammirare lo stupefacente panorama. Riprendo a camminare e noto una targa sulla casa difronte alla chiesa. La leggo, c'è scritto che in quella casa viveva zia Carmela Venditti detta la Cendrélla che, un po' per la troppa neve nelle giornate invernali un pò per il peso degli anni, per poter assicurare il servizio da "campanara" pensò di legate il battaglio della campana maggiore ad una corda che tirava direttamente affacciandosi dalla finestra di casa. Resto lì incantato immaginando questa anziana signora che dal proprio balcone suona le campane. Mi rimetto in cammino ed arrivo al municipio per poter visitare il museo civico. Incontro un signore all'ingresso che mi dice che per poter visitare il museo devo rivolgermi a qualcuno del comune ai piani superiori. Salgo, giro per gli uffici e non trovo nessuno. Dopo un pò incontro una ragazza e le chiedo se fosse stato possibile visitare il museo. Mi dice di attendere ed inizia a girare ufficio per ufficio. Dopo un pò torna e mi dice che la persona che segue il museo non c'è per questioni personali ma che mi avrebbe accompagnato l'Assessore del Comune. Passa un pò di tempo ed arriva un signore che mi chiede se fossi io la persona che volesse visitare il museo. Gli rispondo di sì e scendiamo le scale che portano al museo. Mi chiede da dove venissi e la nostra conversazione termina lì. Dopo un pò si mette a telefono e per tutta la durata della visita parla ad alta voce gironzolandomi intorno. Sono infastidito. Sono infastidito non per il fatto che non mi abbia guidato nel museo ma per la scarsa sensibilità per quel posto. Per me un museo della civiltà contadina e dei vecchi misteri è un luogo sacro e un "cimitero vivo". Un cimitero dove attraverso gli oggetti e foto esposte si riporta in vita la memoria delle persone che hanno vissuto quella buia realtà. Sensibilità colta a pieno dal museo civico di Pescolanciano che all'ingresso ha riportato una piccola targa con scritto "HIC MORTUI VIVUNT, HIC MUTI LOQUUNTUR" (Qui i morti vivono, qui i muti parlano). Terminata la spiacevole visita, saluto e ringrazio l'Assessore che, ancora a telefono, mi saluta con un cenno della testa. Continuo a passeggiare su una delle due arterie del borgo fino ad arrivare alla chiesa di Sant'Antonio di Padova. Qui faccio una straordinaria conoscenza. Conosco tre ragazzi Fernando - 8 anni, Simone - 8 anni e Atos - 12 anni che mi fanno eccezionalmente da guide del posto. Mi spiegano di essere gli addetti alla campana della chiesa che suonano tre volte al giorno 08:00, 12:00 e 20:00. Mi mostrano prima la chiesa di Sant'Antonio, spiegando le varie statue presenti, poi mi dicono quali sono le altre chiese da vedere. Chiedo di loro e mi dicono che non sono di Capracotta, anche se orgogliosamente mi dicono che le loro famiglie lo sono da svariate generazioni, e che gli fa piacere ritornare nel borgo ogni estate per poter stare insieme. Continuano a spiegarmi altre curiosità del paese quando ad un punto Simone mi dice testualmente "Capracotta ha il Guinness World Record per l'altezza della neve di 400 cm" con un inglese impeccabile. Mi sono sentito un pò cime Checco Zalone nel film "Sole a catinelle" quando il figlio Nicolò dice che H.A.C.C.P. significa "Hazard Analysis Critical Control Point". Desidero ringraziarli per la deliziosa e strepitosa spiegazione e li invito a prendere un gelato in un bar lì vicino. Rifiutano dicendo che devono pranzare ma si legge chiaramente l'imbarazzo sui loro volti. Insisto ma nulla da fare. Li ringrazio e vado via pensando tra me e me che c'è ancora speranza per il Mondo. Mi dirigo verso uno dei posti da loro consigliati: la villa comunale ed il sentiero della villa che conduce ad un panoramico belvedere. Visito la villa, molto curata e tenuta, e proseguo verso il sentiero fino a raggiungere il belvedere. Mi godo il panorama e scatto qualche foto. Ritorno alla chiesa di Sant'Antonio e da lì imbocco l'omonimo corso. Mentre cammino, nascosto dalle impalcature, noto un locale sbarrato da una serie di cavalli a dondolo ed un cartello sul quale è scritto "torno subito". Mi affaccio all'interno del locale è vedo tutte le pareti rivestiste da cartelloni informativi che descrivono le piante officinali. Da appassionato di piante e fiori, attendo che venga qualcuno ma non arriva nessuno. Passano due persone davanti al locale, li fermo e gli chiedo se sono del posto e se conoscono chi gestisce la mostra. Uno di loro prende il telefonino inizia a sfogliare la rubrica fino ad arrivare ad Antonio D'Andrea, che successivamente scopro soprannominato Furbetto - non perché lo sia ma perché per intercalare lo dice agli altri. Telefono ad Antonio e dopo pochi minuti è lì al locale. Ci presentiamo e mi spiega le iniziative promosse dalla casa delle erbe di Capracotta. La casa delle erbe, spiega Antonio, fa parte di un circuito che ricopre tutto il territorio molisano, e non solo, ed ha la finalità di promozione di attività di terapia o camminate conviviali nei boschi ed informare e divulgare l'uso delle erbe spontanee nella quotidianità oltre a sensibilizzare le persone nella riduzione e riuso dei materiali riciclabili secondo la filosofia ecologica delle 5 R: riduci, riusa, ricicla, raccogli e recupera. È ora di pranzo ed Antonio deve andare via ma prima di lasciarmi mi invita al laboratorio interdisciplinare di artigiano e arte del riuso che si terrà nel pomeriggio. Ci salutiamo e ne approfitto per fare una pausa. Subito dopo la pausa vado al maneggio San Giacomo, consigliata da Antonio, che purtroppo trovo chiuso data l'ora. Per mia fortuna l'ingresso è aperto ed entro ad ammirare i magnifici Mustang che si muovono liberamente nel recinto. Scatto qualche foto e continuo a camminare per raggiungere il Giardino della Flora Appeninica. Il giardino è nato nel 1963, da un'idea del naturalista Valerio Giacomini, come campo sperimentale per le piante officinali ed è l'orto botanico naturale fra i più alti di Italia, 1.525 m.s.l.m. All'interno del giardino vengono conservate e tutelate circa 500 specie vegetali della flora montana e all'altamontana dell'Appennino centro-meridionale. La visita inizia con un'interessante percorso guidato che conduce in diversi angoli tematici allestiti in modo da consentire ai meno esperti di conoscere le piante ed avere una straordinaria esperienza sensoriale. Terminata la visita, torno nel borgo per partecipare all'evento organizzato da Antonio. Arrivato alla casa delle erbe, trovo Antonio con due suoi amici, Nicole con il suo cagnolino Pippi e Francesco. Purtroppo, nonostante la pubblicità fatta da Antonio, non c'è partecipazione ed i ragazzi ne hanno approfittato per trascorrere un pomeriggio in compagnia. Ci presentiamo ed iniziamo a chiacchierare; mentre Francesco è impegnato ad eseguire la torsione e la filatura della lana. Antonio chiede a Nicole e Francesco di presentarsi. Poi arriva il mio turno. Sono affascinato dalla lavorazione di filatura e chiedo a Francesco di spiegarmi come avviene la produzione del filo di lana partendo dalla fase di tosatura della pecora. Con molta calma e precisione mi spiega passo per passo tutte le fasi. Al termine della spiegazione, mi cede la bobina per la filatura e mi mostra come continuare. Proseguo per un pò poi Francesco ripone la lana in una busta ed estrae il Bouzouki, strumento musicale greco a corde. Inizia a suonare ed è subito magia. Accarezza le corde intonando una melodia di un altro tempo. Antonio, Nicole ed io restiamo lì fermi incantati ad ascoltare. Sono molto incuriosito da Francesco che nel suo modo di parlare, muovere e vestire pare sia venuto da un'altra epoca. Francesco smette di suonare e ci offre un delizioso Infuso all'Ibisco. Sono le 19:30 circa, Nicole è stanca e desidera tornate a casa. Prima di salutarci, ci organizziamo con Francesco per una passeggiata l'indomani alle 8:00 a Prato Gentile. Nicole ci saluta e va via. Mentre Antonio inizia a sistemare per chiudere il locale, Francesco trova un cartello bianco che Antonio invita ad aprire. All'interno è riportato una divertente ed esilarante preghiera a Sànde Niénde (Santo Niente) che Francesco legge ad alta voce. Chiuso il locale, saluto i ragazzi e mi incammino verso la chiesa di Sant'Antonio. Fuori la chiesa incontro Adele, una signora che mi ha contattato in mattinata su facebook per sapere se fossi a Capracotta, e mi dice che a breve i ragazzini, che avevo incontrato in mattinata, avrebbero suonato le campane delle 20:00. Non potevo assolutamente perdere questo momento. Attendo qualche minuto ed arrivano Fernando, Simone e Atos puntuali come un orologio svizzero e si prepararano. Iniziano il conto alla rovescia ed esattamente alle 20:00 suonano le campane. È stato per me un'esplosione di gioia ed allegria. Ascoltate le campane, continuo a camminare per raggiungere la chiesa della Madonna di Loreto dove è possibile ammirare il magnifico monumento all'emigrante. Il monumento si trova immerso in una tranquilla piazzetta con giardino e panchine. Decido di mangiare qualcosa lì prima di tornare da Ulisse per riposare. Francesco Cositore Fonte: https://www.facebook.com/, 6 luglio 2022.
- Michelangelo - Giuseppe
Quando nacque mio padre, il parto avveniva in casa. La levatrice condotta seguiva l'evolversi della gravidanza andando a visitare la puerpera a casa sua e veniva chiamata appena prima dell'evento. Era consuetudine che parenti, comari e donne del vicinato, coordinate dalla levatrice, accorressero per dare un prezioso aiuto. Poi la levatrice si recava in municipio per registrare ufficialmente la nascita. Quando nacque mio padre, mercoledì 19 marzo 1913, fu detto alla levatrice che avrebbe portato il nome del nonno Michelangelo, anche perché precedentemente era morto un fratellino con lo stesso nome. Al Comune invece la levatrice dimenticò la segnalazione avuta e fece registrare, a insaputa di tutti, il nome Giuseppe. E così fino all'età di sei anni mio padre fu chiamato da tutti Michelangelo. Nel 1919 mia nonna Pasqualina, che a stento sapeva scrivere il suo nome e cognome, con il certificato di nascita rilasciato dall'anagrafe del Comune, iscrisse il figlio Michelangelo alla prima elementare. Dal primo giorno di scuola, quando il maestro faceva l'appello, al nome di Giuseppe Di Rienzo nessuno rispondeva. Dopo una diecina di giorni il maestro, tramite la bidella, convocò mia nonna per chiedere perché Giuseppe non frequentasse le lezioni. Lì per lì nonna Pasqualina rimase molto stupita per quanto affermava il maestro, essendo sicura che il figlio ogni giorno usciva di casa per recarsi a scuola. Allora il maestro chiese a mia nonna di verificare se tra gli scolari ci fosse suo figlio: al cenno della madre, il figlio si avvicinò e fu il maestro a restare stupito perché non si era accorto della presenza in classe di mio padre. Alla domanda del maestro «Perché non rispondi all'appello?», replicò «Signor maestro, ma voi non mi chiamate mai!». A quel punto un rapido controllo chiarì come stavano le cose e così mio padre, fino ad allora chiamato Michelangelo, scoprì di chiamarsi ufficialmente Giuseppe. Era impossibile far correggere dall'ufficiale dell'anagrafe quanto annotato nel registro e quindi Michelangelo diventò obbligatoriamente Giuseppe. E non fu piacevole né per i nonni né per mio padre scoprire una cosa del genere. Per superare l'imbarazzo che i due nomi avevano creato fu chiesto a mio padre se gli piacesse il nome Peppino: scelse di essere chiamato da tutti Giuseppe perché Peppino era il diminutivo con cui a Capracotta era stato chiamato un cavallo. E così per l'errore di una levatrice il nipote di Michelangelo si chiamò Giuseppe! Sebastiano Di Rienzo Fonte: S. Di Rienzo, Il cappotto di quarta mano. Ricordi di un'infanzia felice, a cura di D. Di Nucci, De Luca, Roma 2019.
- Una rotatoria di Guidonia intitolata a Pierluigi Del Castello
Si chiamava Pierluigi Del Castello ed è stato un cooperante e attivista per la non-violenza di Guidonia Montecelio che abitava con la sua famiglia nel quartiere di Villanova. A lui, scomparso giovanissimo a Tivoli il 28 febbraio 2003, sarà intitolata la rotatoria sull'ultimo tratto di via Garibaldi all'altezza di via Fratelli Cairoli, prima dell'intersezione con via Tiburtina Valeria. Lo ha proposto il 9 giugno la giunta comunale di Guidonia Montecelio con la delibera numero 72. Migliorare e migliorarsi, con questi propositi Pierluigi iniziò la sua attività di volontariato prima con l'associazione ONLUS "Cieli Azzurri" e poi con l'associazione Umanista ONLUS "Atlantide", collaborando anche con altre realtà come l'associazione "La Piccola Pietra". Da subito Pierluigi si attivò nell'affrontare le tematiche ambientali della sua città, partecipando alle tante riunioni di coordinamento tra le varie associazioni ambientaliste, apportando la sua preziosa visione giovanile. Il suo apporto fondamentale lo ha dato prevalentemente nelle attività che si svolgevano in Kenya seguendo sul posto i progetti locali, tra cui la costruzione di una scuola e di un pozzo. Inoltre Pierluigi seguì il progetto della spedizione di ben due container carichi di aiuti per la popolazione keniota. E fu promotore e protagonista di numerose iniziative sportive, teatrali e musicali sempre e costantemente finalizzate alla raccolta fondi e per la sensibilizzazione alle attività associazionistiche. Residente a Villanova di Guidonia, per anni ha lottato e convissuto con la sua malattia senza mai sottrarsi alle numerose iniziative di cui era sempre entusiasta. Fonte: https://tiburno.tv/, 13 giugno 2022.
- La prèta de Capracotta: un'autocritica
Buona parte dell'arte urbana capracottese, quella degli artigiani del legno, del ferro e della pietra, è pressoché andata perduta con la distruzione del paese perpetrata dalle truppe tedesche in ritirata nel novembre del 1943. Quel che non è stato distrutto dai nazisti è stato smantellato dai capracottesi stessi negli anni seguenti, rapiti da una folle rincorsa alla modernità. Noi capracottesi abbiamo sbancato la Terra Vecchia in nome di una nuova casa al Villaggio U.N.R.R.A. o di un appartamento nei caseggiati I.A.C.P. di via S. Maria di Loreto; abbiamo prima stravolto e poi abbattuto un'antichissima torre angioina per dare un briciolo di lavoro ai disoccupati; abbiamo rimosso i resti di abitazioni signorili, di antichi edifici di culto, gettato nei Ritagli i libri e i mobili più belli; abbiamo fatto commercio di reperti archeologici; ci siamo macchiati di simonia, vendendo oggetti d'arte religiosa nel più desolante silenzio generale; non abbiamo rispettato gli elementari canoni di estetica urbana permettendo ogni tipo di intonaci, tetti ed infissi; abbiamo persino sbagliato il taglio del bosco di Monte Capraro quando si è trattato di installare la funivia nel 1996. Amo immensamente Capracotta ma noi capracottesi non siamo migliori degli altri: abbiamo i nostri interessi, i nostri intrallazzi, le nostre ripicche, i nostri puzzolenti scheletri nell'armadio. Una delle tante leggerezze compiute nell'epoca della ricostruzione post-bellica è quella di aver rimosso la pavimentazione originale di corso S. Antonio, a suo tempo ricoperto dalle chianche, ossia lastre rettangolari di pietra bianca, che probabilmente veniva estratta e lavorata presso la vecchia cava di Monte Campo, quella stessa cava che a breve diventerà un bacino idrico per l'innevamento artificiale di Prato Gentile e della relativa pista di sci nordico, un'opera sulla quale sono perplesso ma non scettico. Va detto che le chianche erano spesso utilizzate in edilizia anche nella parte sporgente dei tetti, quella che affaccia sulla pubblica via. Tuttavia qualcuna di quelle chianche è ancor oggi visibile, poiché alcuni cittadini, all'indomani del piano di ricostruzione di Capracotta, le hanno prelevate per pavimentare la tomba di San Giovanni, ovvero il passaggio coperto che collega via S. Giovanni con la parallela via Nicola Mosca, posta a un livello stradale più basso. Quelle chianche superstiti testimoniano semplicemente la lungimiranza degli artigiani del passato, che utilizzavano materiali che non temono neve e ghiaccio, a differenza degli odierni sampietrini in porfido, ripetutamente sostituiti con grave esborso per l'amministrazione comunale e con sommo dispiacere per i femori di turisti ed anziani, che ogni anno rischiano di scivolare tra buche e gelature. Francesco Mendozzi
- Iacovone, la maledizione in un triangolo
Tutto in un ipotetico triangolo, diciamo 500 metri di lunghezza per ogni lato. Ai tre angoli altrettante case, quella di un calciatore, quella di un medico, quella di un malvivente. Il luogo di partenza è Tivoli Terme, che una volta chiamavano Shanghai perché un pilota militare partito dall'aeroporto di Guidonia, sorvolando quel fazzoletto di terra adagiato alle porte di Roma, sulla via Tiburtina, giurò che quel paesello, composto da case basse e tutte a un piano gli ricordava la città cinese, su cui aveva volato in tempo di guerra. Il primo dei tre personaggi in questione si chiama Erasmo Iacovone, nato a Capracotta, dove gli abitanti assicurano che fa freddo undici mesi l'anno e il dodicesimo mese, quello estivo, fa freschetto. Classe 1952, era sbarcato presto a Tivoli, complice il trasferimento lavorativo del padre. Oggi nel "Tivolese" c'è spazio per parcheggiare l'auto neanche a pagarlo oro. Ma in quegli anni, in quel paese stanziato a una decina di chilometri dalla città eterna c'era tutto (si fa per dire) tranne il traffico, il via vai di sgommate e i clacson che strombazzano in continuazione. C'erano campi di grano, cave di travertino e spazi sterminati per giocare a calcio. Bastava uno spiazzale, i cappotti per fissare i pali della porta e un nugolo di ragazzini che correva dietro al pallone, fantasticando magari un futuro da campione. Franco Conti, l'unico ferramenta di quella zona, osservava i "figli di Villalba" crescere, li consigliava, li allenava. Aveva trascorsi da portiere e una spiccata capacità di rapportarsi con i ragazzi. Fra questi, c'era - appunto - Erasmo. Che ci mise poco a mostrare il suo valore. Passò presto dalle sfide alla "o gamba o palla" disputate sulla strada a indossare la maglia dell'Albula, campionati minori e campi in pozzolana. Poi passò all'Omi Roma, Serie D. Giocava in attacco, non era un fromboliere, ma aveva stoffa da vendere, quando "staccava" di testa pareva volare, riusciva a restare in aria un attimo più degli antagonisti di circostanza, come se riuscisse a dare al suo corpo un ulteriore scatto di reni mentre saliva in alto. Un modo di librarsi che avevo visto fare, prima di lui, solo a un cestista statunitense, Charlie Yelverton, quando giocava a Varese. La crescita di Erasmo Iacovone fu veloce e repentina, giocò mezza stagione a Trieste in Serie C, poi lo adocchiò il Carpi, Serie D, dove cominciò a far svettare anche il suo nome sui giornali. E, con 13 gol, contribuì alla promozione della squadra in Serie C. Ma l'anno successivo si presentò ai nastri di partenza del campionato di C con la casacca del Mantova, piazza che non pressa i suoi beniamini, ideale per un football a misura d'uomo. I tre anni nella terra di Virgilio sono "Bucoliche" istantanee di un calciatore in continuo miglioramento, al punto che sul ragazzo mette gli occhi il presidente Giovanni Fico, che a Taranto vagheggia lo squadrone per sbarcare in Serie A. Erasmo viene acquistato per giocare in attacco e far coppia con Franco Selvaggi, che al Mondiale dell'82 si laureerà campione del mondo. Erasmo che segna al debutto e che va in gol pure nel derby col Bari, così da diventare il prediletto della tifoseria. Erasmo che diventa una garanzia, Erasmo che finisce sul taccuino degli osservatori di casa Fiorentina. Erasmo... e la parola "fine". Ricordate il triangolo iniziale? Ecco, anche il medico e il malvivente sono in quei giorni in Puglia, è il febbraio del 1978. Una sera qualsiasi, i calciatori del Taranto che decidono di andare a vedere uno spettacolo di cabaret in cui recita Oreste Lionello, Erasmo che resta indeciso. Andare o restare a casa? A Carpi c'è la sua donna che lo aspetta, ma soprattutto una bambina in arrivo. Segue i compagni di squadra ma poi decide di tornare indietro: l'idea di diventare padre lo affascina, magari potrebbe arrivare la telefonata della sua Paola. Viaggia sulla statale Jonica a bordo di un Citroen Diane, macchina leggera come un fuscello che viene accartocciata in un amen dal bolide in corsa di quel malvivente in fuga dai carabinieri e il suo "fuggifuggi" cominciato subito dopo un furto. L'auto che lo investe è un'Alfa Romeo, che era stata da poco rubata al medico. Sì, proprio lui, il dottore che abitava a un "tiro di schioppo" da casa Iacovone. Così come a due passi da casa Iacovone c'era l'abitazione del ladro in fuga. Erasmo muore sul colpo, il corpo è sbalzato lontano dall'impatto. La notizia ci mette poco a fare il giro della città, sul posto arrivano i compagni di squadra, le lacrime si mischiano alla rabbia, il dolore è lancinante. Il giorno dei funerali i negozi hanno le serrande abbassate e nello stadio che prenderà il nome di Erasmo - e che all'epoca si chiamava "Salinella" - si assiepano in 15.000. La bara che sfila fra i tifosi, lo sventolio dei drappi rossi e blu e il grido «Iaco-Iaco-Iaco» che sale verso il cielo. Così, col più assurdo degli scherzi del destino, si chiude la favola di un ragazzo per bene, mentre restano i dubbi di quel che avrebbe potuto essere e non è stato. Della Serie A mai raggiunta sia da lui che dalla sua squadra, il Taranto. Di una vita maledettamente breve. E di una figlia nata nell'autunno del 1978 e mai tenuta fra le braccia. Massimiliano Morelli Fonte: https://housefootball.it/.
- Amore e gelosia (XLV)
XLV Ma il viso di Elisa improvvisamente si rabbuiò: – Uh Madonna mia, ch'agge cumbinate! E mò chi 'o sente a papà! Pe t'acchiappa' alla stazione di Nocera m'agge pigliate 'o carrozzino col suo cavalluccio! E l'agge lassate fuori alla stazione, l'ho affidato a nu vetturine! Si succede coccosa al cavalluccio papà m'accide! Se scorda che me vo' bene e me mette na funa 'ncanne! Poi si mise una mano sulla bocca: c'era di peggio. – E mammà? Nun me vede e turna' a casa e sai i cattivi pensieri che fa! Salvato' me ne devo andare, subito! Aggia piglia' nu treno pe Nucere e tornare a casa mia! Devi aiutarmi, comme aggia fa? Ma il suo fidanzato da quell'orecchio non ci sentiva proprio! Elisa stava a Napoli e a Napoli sarebbe rimasta! Si trattava però di mettere una pezza a tutto lo scombinamento che si era creato: i genitori di Elisa andavano avvertiti, poi con tutta calma il giorno dopo, o fra qualche giorno, la bella ragazza sarebbe tornata a casa. – Vieni, torniamo alla stazione, ho avuto un'idea... Ma prima prendiamo un foglio di carta e una busta dal tabaccaio, dobbiamo scrivere un messaggio... E con aria misteriosa il poeta prese la sua ragazza per la mano e la condusse con sé. Dopo circa dieci minuti erano sulla banchina del terzo binario: entro un quarto d'ora un treno accelerato sarebbe partito da Napoli diretto a Salerno, e tra le fermate vi era pure Nocera Inferiore. I due innamorati cercarono il capotreno e lo trovarono fermo sui gradini della vettura di prima classe. – Scusatemi signore, posso chiedervi un favore grande quanto una casa? – Esordì don Salvatore, poi continuò: – Ma prima permettete che io mi presenti: sono Salvatore Di Giacomo, di Napoli, e questa è la mia futura, prossima signora... Ora noi... Gli occhi e il viso del suo interlocutore si accesero di gioia: – ...Siete, ma davvero siete Salvatore di Giacomo, il poeta? – Fece tra l'incredulo e il meravigliato il capotreno. – Sì, sono io. Ma perché, ci conosciamo? Io non... – Ci conosciamo? Ma sono io che vi conosco, da anni! Mi diletto a cantare, come tutti i napoletani, e quanne cante "Palomma 'e notte" mi vengono i brividi addosso! Don Salvatore, siete un grande, siete il numero uno! Il poeta si schernì: – Grazie, grazie, troppo buono! – E nel frattempo pensava: “Se questo sapesse che i versi li ho scritti in un impeto di gelosia nei confronti di Elisa”... – Grazie, – continuò – ma ora davvero mi dovete fare un favore... – Sono ai vostri ordini, don Salvatore, ditemi... – Ecco, quando il treno fermerà a Nocera Inferiore, la sosta durerà almeno un quarto d'ora, per mettere la spinta dietro al convoglio altrimenti non ce la fa nella salita di Cava, è così? – Eh, anche venti minuti... – Ottimo! Allora ecco: voi dovreste portare un attimo questa lettera al buffet della stazione, direttamente al proprietario signor Trapanese, e chiedergli a nome mio di farlo recapitare subito al giudice Avigliano, il padre della mia fidanzata. Mi raccomando, è una cosa importantissima, posso contare su di voi? – Don Salvatore, è cosa già fatta! Tanne me ne vache quanne il signor Trapanese, che tra l'altro conosco bene (che sfugliatella che fa!), dicevo allora, quanne il signor Trapanese ha incaricato qualcuno di recapitare il biglietto! Vi dò la mia parola di capotreno! – E allora siamo in una botte di ferro! Vi ringrazio di nuovo e vi ringrazia con tutto il cuore anche la mia fidanzata, donna Elisa, e fate buon viaggio! Presa la bella giovane, con orgoglio, sottobraccio, il grande poeta tutto impettito si avviò verso l'uscita della stazione, fiero della soluzione che aveva trovato e pieno di ardore per la sua fidanzata: l'avrebbe avuta tutta per sé, finalmente, almeno per un paio di giorni. O almeno lo sperava... Francesco Caso
- Amore e gelosia (I)
Prologo Elisa Avigliano, una bella ragazza di Nocera Inferiore: fu il tormento e l'estasi del grande poeta napoletano Salvatore Di Giacomo. La conobbe così, quasi per caso, nelle silenziose stanze della biblioteca nazionale di Napoli, lei una fanciulla che frequentava il Magistero, lui un uomo già famoso, di circa 20 anni più grande di lei. L'amò fin da subito, e insieme all'amore nacque immediatamente anche la gelosia: le scriveva lettere su lettere, litigavano, facevano pace per poi ricominciare a litigare, finché nel 1916 la sposò. Nocera Inferiore fu teatro di questo amore e della conseguente gelosia del poeta: pensate, per le strade della nostra città si aggirava questo uomo ricco di pensieri fecondi e di sentimenti profondi, eppure in quei momenti in testa aveva solo lei, la sua Elisa Avigliano, una ragazza delle nostre contrade che lo aveva fatto innamorare perdutamente. I – Scusate... Siete voi il signor Di Giacomo, il bibliotecario... Il poeta? Don Salvatore si voltò incuriosito: che voleva mò questa ragazza da lui? Dritta come un fuso, «auta e scura», con un vestito rosso, o meglio, di un granato acceso, la peccerella teneva gli occhi calati a terra: si sentiva osservata e giudicata da quell'uomo famoso in tutta Napoli, che in tanti adoravano per le sue bellissime canzoni: don Salvatore Di Giacomo! – Sì, sono io... Posso essere utile in qualcosa signuri'? A Elisa sembrò che il respiro le mancasse, ma si fece forza e alzò gli occhi per guardarlo e parlare. – No, è che... don Salvatore perdonatemi... Non le riuscì di continuare e rimase lì, di nuovo muta. Allora con fare paterno don Salvatore le venne in aiuto: – Forse cercate qualche libro e non riuscite a trovarlo? Eeh, la biblioteca è davvero grande, capisco... e quale è il testo che dovete consultare? Vi aiuterò io, anche se stamattina a dirla tutta tengo nu cuofene 'e cose da fare! Un sorriso accompagnò queste ultime parole, per stemperare un po' la situazione che si stava creando... "Però," pensò in quel momento il poeta, "guardandola meglio, è propete na bella peccerella!" La ragazza sembrò prendere coraggio, con un sospiro profondo che le alzò il petto suscitando ancor più l'ammirazione dell'uomo, finalmente disse ciò che voleva. – Don Salvatore, mi dovete perdonare, io sto qui per studiare, devo concludere gli studi al Magistero e devo fare la tesi... L'argomento della mia tesi è... – E si interruppe ancora... Don Salvatore le venne in soccorso un'altra volta: – Bene, bene, vediamo... E allora, l'argomento della tua tesi è...? E l'incoraggiò con un cenno della mano... ma quella non parlava, si stava zitta e lo fissava con occhi adoranti... Uffa, queste ragazzine, che pazienza ci voleva! – E allora? Facimme notte? – Sbottò il poeta. – La mia tesi siete voi, Salvatore Di Giacomo il poeta napoletano! "Gesù, chesta è n'ata! Mó mi perseguitano pure sul posto di lavoro! Sentene na bella canzone e s'innammorano o del cantante o dell'autore! Mó la licenzio subito!" Don Salvatore stava per girare i tacchi e lasciare lì la ragazzina, ma si trattenne: c'era... Sì, c'era qualcosa di più negli occhi neri e grandi di quella giovinetta, qualcosa che senza che egli se ne accorgesse, era già penetrato in lui, e che ora gli impediva di lasciarla andare... Si mise a ridere: – Io sono la vostra tesi? Signuri', ne ho sentite tante, ma questa è davvero bella! Ma nun teniveve niente 'e meglio da penza'? Ci sono tanti scrittori, tanti poeti! – No! Gli altri non mi interessano! Volete aiutarmi, signor Di Giacomo? I miei studi si concludono con una tesi su di voi, è deciso! "Che caratterino! E che bella ragazzina! Chissà quanti anni avrà!" Don Salvatore scacciò subito quei pensieri: quella poteva essere sua figlia, al massimo aveva 22-23 anni mentre lui andava ormai per i 45... – E va bene, vi aiuterò, – fece – ditemi però in che modo, io non saprei neanche da che parte cominciare... anzi no, lo so! Tanto per iniziare bene, fatemi compagnia e andiamo a prendere un caffè! E senza aspettare la risposta della ragazza don Salvatore si avviò, accorgendosi compiaciuto che la giovine lo seguiva prontamente, affiancandosi a lui. Francesco Caso
- Estate in Molise
L'estate è finalmente iniziata e dopo mesi di fermo e ore passate in casa per la paura del contagio da coronavirus, è giunto il momento vivere le bellezze dell'Italia e di trascorrere giornate piacevoli all'aria aperta. L'attenzione e il distanziamento sociale restano necessari e, per questo, è consigliata una trasferta in luoghi ancora inesplorati e di bellezza incontaminata. Il consiglio? Quello di cambiare meta ed evitare le solite località blasonate turistiche e concedersi periodi alla riscoperta di regioni come il Molise, piccole ma con un grande potenziale. Perché andare in Molise in estate? Beh, le ragioni sono davvero tante ed è difficile elencarle tutte ma una cosa è certa, appena arrivati in questa regione non la dimenticherete più. Tra la calma, le lunghe distese di prati e i numerosi chalet e agriturismi e i parchi naturali, c'è davvero l'imbarazzo della scelta su cosa visitare. Se amate le montagne, le escursioni e il verde, allora l'Appennino ben si presta per ferie tra amici, in famiglia, per coppie, giovani e anche meno giovani. L'Appennino molisano è composto da tre importanti formazioni, le Mainarde, il Matese e l'Alto Molise. Le principali località da visitare per gli amanti del trekking, sono Campitello Matese, situato sul Monte Miletto, e Capracotta. Due luoghi adatti sia per l'inverno che per l'estate. Campitello Matese è un massiccio montuoso dell'Appennino Sannita. I suoi monti donano una vista senza precedenti, un toccasana per la mente e per il corpo. Il luogo è adatto per fare tante attività come escursioni, passeggiate ad alta quota, a cavallo, giri in mountain bike, pic-nic tra i prati e cene sotto le stelle. Ai piedi della montagna si trovano inoltre ristorantini caratteristici, baite e hotel capaci di regalare esperienze indimenticabili come spa e momenti di puro relax. Per gli inguaribili amanti del turismo culturale e naturalistico in estate sono tante, le aree protette da visitare, come il Parco Nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise e le oasi del WWF di Monte Mutria, Guardiaregia-Campochiaro e della Lipu di Casacalenda. L'oasi di Guardiaregia-Campochiaro è di circa 3.135 ettari ed è uno dei parchi più grandi e selvaggi in gestione al WWF. Il posto, regala la vista della cascata di San Nicola, le grotte di Pozzo della Neve e Cul di Bove, fra i più profondi abissi d'Europa. In estate, inoltre, i gestori del parco organizzano eventi e visite guidate per scoprire piante e specie di animali protette. Il Molise offre anche paesini caratteristici e centri storici da ammirare a qualsiasi ora del giorno e della notte. Guardiaregia ad esempio, di notte appare quasi magica. Sembra di essere immersi in un presepe in miniatura e di far parte dell’intera scena. In luoghi come questi potrete passeggiare, gustare la cucina tipica e godere di un cielo azzurro e limpido. Un viaggio in Molise viene consigliato anche agli amanti della buona cucina. L'attività culinaria è rinomata non solo in tutta la penisola ma anche Europa e non solo. Solamente in Molise potrete assaggiare prodotti tipici come formaggi di capra, pregiato caciocavallo, pecorino, burrata, mozzarella e salumi profumati. Il tartufo però è il re di queste zone e la pasta, soprattutto quella fatta in casa e le pietanze cotte alla brace, ben si sposano con il prezioso tubero presente nei boschi, da quello bianco in estate a quello nero in inverno. In Molise si produce anche un ottimo vino rosso, la Tintilia, una miscela di gusto e corpo. I taglieri misti e i primi piatti vi faranno rivivere le sensazioni genuine che solo le nonne sono ancora capaci di ricreare. Insomma, se ancora avevate qualche dubbio su cosa fare e dove andare, il consiglio è quello di preparare al più presto le valigie e venire a fare un salto nella piccola, meravigliosa regione del centro sud Italia! S. D. S. Fonte: https://www.italiani.it/, 17 luglio 2020.
- Christian Beck e il giardiniere di Capracotta
Mi sono seduto, le gambe sospese sull'abisso, tra belledonne che mi circondavano con le loro ombrelle venefiche. Il giardiniere del Comune ha finalmente soddisfatto la sua curiosità. – Da che paese venite? – m'ha domandato. – Dalla Francia – ho risposto, sicuro che egli non conoscesse la Vallonia e desse a quella parola il significato della "Chanson de Roland". Ma non avevo ancora ottenuto il massimo dal suo nirvana geografico... – Dove sta la Francia? – ha ripreso dopo un silenzio. Non è che odio spiegare, ma come si può spiegare, a un uomo che non lo sa, dove sta la Francia? – È lontana – ho risposto evasivamente. Ha insistito: – Quanto tempo ci vuole per andarci in treno? – Due giorni. – Due giorni! Era sbalordito. Anche se il suo paese e l'intera provincia erano pieni di Americani di ritorno dall'emigrazione, mai il mondo gli era sembrato tanto grande. – E come avete trovato la strada? Il mugicco russo è molto semplice, furbo più che acuto, eppure dimostra di rado una tale curiosità. Ricordo, tuttavia, un baba che, dandoci il benvenuto nella sua isba, chiese ai compagni coi quali avevo appena attraversato le acque del Volga e le foreste primaverili che questo aveva magnificamente sommerso: «I Tatari, i Ciuvaschi e i Mari conoscono la nostra lingua, a dispetto di noi. Come mai parli a questo sconosciuto nella sua lingua, ed egli non conosce il russo?». Un nuovo resoconto delle cose, un aspetto del mondo che le tribù asiatiche non gli avevano fornito, s'impose nella mente di questo intelligente baba. Christian Beck (trad. di Francesco Mendozzi) Fonte: C. Beck, Le papillon. Journal d'un romantique, Bénard, Liége 1910.
- L'evoluzione della pista per lo sci di fondo di Prato Gentile
Recentemente, sfogliando alcune pagine della stampa sportiva di qualche anno fa, è capitato di rileggere, con un pizzico di commosso orgoglio tipico dei capracottesi, dalla "Gazzetta dello Sportivo" datata venerdì 17 febbraio 1995 una recensione che citava fra i «ventitré grandi anelli italiani» per lo sci di fondo qualificati come «le più belle, conosciute ed attrezzate piste» anche quella di Prato Gentile di Capracotta. È venuto allora spontaneo ripercorrere in breve la storia della pista stessa dalla sua origine, sino alla sua più recente evoluzione. Come a molti già noto, l'attività sciistica in Capracotta, ufficialmente riconosciuta, risale a quasi un secolo fa e, precisamente, al 1914, anno di fondazione del locale Sci Club. Sino all'immediato secondo dopoguerra, la pista di Prato Gentile - il cui tracciato era peraltro limitato al solo periplo del pianoro - fu utilizzata prevalentemente a scopi amatoriali. In effetti le gare di fondo dell'epoca si svolgevano, utilizzando la tecnica detta allora del "passo alternato" (l'attuale tecnica classica), su piste ricadenti in modo spesso casuale su terreni circostanti l'abitato quali, ricorrentemente, la zona della Guardata e quella delle Fossate. La larghezza di tali piste, alla cui battitura provvedevano, senza l'aiuto di altri mezzi che non fossero le proprie gambe, soltanto solerti appassionati, era appena sufficiente al passaggio di un solo sci. La svolta decisiva per il conseguimento di una pista razionalmente concepita che possedesse appropriati requisiti plano-altimetrici, si ebbe intorno agli anni '60 in concomitanza dell'avvio dello sviluppo della rete stradale della zona e dell'uso dei mezzi di trasporto. In effetti, costruito dall'Amministrazione Provinciale di Isernia il tronco di strada per Prato Gentile con l'annesso omonimo rifugio, fu possibile realizzare, partendo dalla pista embrionale dell'anteguerra, una struttura di tipo stabile conformata ai primi standard tecnici ufficialmente fissati dagli organi federali sportivi nazionali (F.I.S.I.). Si conseguì, in uno scenario naturale di incomparabile bellezza, la pista - base di quella attuale - costituita da due anelli consecutivi interamente sviluppatinsi nel bosco, posti a valle ed a monte del pianoro di Prato Gentile, ciascuno della lunghezza di circa 5 km., con una larghezza che, originariamente pari a circa 3-4 metri, fu successivamente aumentata a 4-6 metri in modo da consentire l'impiego della tecnica del passo pattinato, altrimenti definito skating, che nel frattempo cominciava a diffondersi anche nel settore dello sci agonistico. La pista fu intitolata a Mario Di Nucci per onorarne la memoria quale valente fondista della squadra olimpica italiana. Negli anni a seguire, completata la strada provinciale per Pescopennataro, di pari passo con il continuo sviluppo dei trasporti, la pista, grazie anche ad ulteriori e periodici interventi migliorativi, spesso attuati senza particolari risorse finanziarie in virtù dell'abnegazione di molti paesani accomunati dalla passione per lo sci di fondo, ha acquisito una significativa connotazione destando un interesse sempre crescente, presso i vari club del Centro-sud e presso la stessa F.I.S.I. come testimoniato, fra l'altro, dalle prime gare nazionali di apprezzabile importanza (Coppa "E. Angelaccio" e Coppa "Comune di Capracotta") in calendario ogni anno e che vantavano la nutrita partecipazione anche di atleti di primo piano appartenenti, generalmente, ai gruppi militari dei Carabinieri, delle Fiamme Oro, delle Fiamme Gialle, dell'Esercito e della Forestale. È d'obbligo ricordare lo svolgimento nel febbraio 1974, in occasione delle celebrazioni del 70° anniversario della fondazione dello Sci Club Capracotta, del Campionato Italiano Assoluto Aspiranti ed Allievi che videro la partecipazione di campioni in erba quali Silvio Fauner e Stefania Belmondo. Successivamente, agli inizi degli anni '90, in dipendenza di nuove esigenze conseguenti essenzialmente all'istituzione di particolari ed importanti trofei a svolgimento stagionale (Coppa Italia, Coppa Europa, Coppa del Mondo ) il mondo dello sci di fondo ha subito notevoli innovazioni delle quali le più rilevanti, codificate dalle federazioni sportive nazionale ed internazionale (F.I.S.I. e F.I.S.), riguardano la ridefinizione e la riclassificazione delle gare ufficiali, nonché la codificazione degli standard tecnici per l'omologazione delle piste e le norme di riferimento per la organizzazione e lo svolgimento di ogni manifestazione agonistica. La ripercussione in ambito locale di tali notevoli trasformazioni fu inevitabile e pressocché immediata. Fortunatamente si presentò in quel periodo la favorevolissima occasione, propiziata e subito colta grazie alla solerte ed illuminata iniziativa dei locali, di vedersi assegnare dalla F.I.S.I. e, quindi, di poter organizzare lo svolgimento a Prato Gentile di una edizione dei Campionati Italiani Assoluti per lo Sci di Fondo. Nella consapevolezza che tale insperabile evento, al di là della sua straordinaria rilevanza sportiva, potesse costituire la chiave di svolta decisiva anche per lo sviluppo socio-economico dell'Alto Molise, con estrema solerzia, fu attivata ogni possibile e sinergica azione che consentisse la tempestiva attuazione degli interventi occorrenti per l'adeguamento tecnico della pista e delle opere connesse, nonché per assicurare l'operatività della "macchina" organizzativa. Definiti i programmi ed i progetti furono puntualmente disposte le necessarie risorse finanziarie e nei tempi preventivati si conseguì la disponibilità di un organico complesso sciistico, articolato essenzialmente nei due tradizionali anelli di valle e di monte, ciascuno della lunghezza variabile sino al massimo di 7,5 km., in grado di assicurare l’individuazione di circuiti di gara da 5 km. sino a 50 km. Del tutto innovativa fu la realizzazione, all'interno del pianoro di Prato Gentile, dello stadio del fondo. Tale struttura, attrezzata con le necessarie installazioni funzionali fisse o mobili (aree per partenza ed arrivo gare con rispettive zone per la punzonatura ed il controllo degli sci, zona di cambio per le gare a squadre di staffetta, postazioni per giuria, cronometraggio, unità sanitaria, stampa, speaker, attrezzature logistiche varie per ristoro atleti, spogliatoi, servizi igienici, tribune pubblico e vip) fu concepita in ordine alla irrinunciabile esigenza di consentire per ogni gara, con percorrenza a più giri dei rispettivi circuiti, ripetuti passaggi nello stadio a tutto vantaggio della spettacolarità delle gare stesse. Come molti ricorderanno, i citati campionati si svolsero, con entusiastico successo, fra il 28 gennaio ed 2 febbraio del 1997 e videro la partecipazione dei più validi atleti italiani del momento quali, per citarne solo i più noti, Silvio Fauner, Marco Albarello e Cristian Zorzi fra gli uomini e Manuela Di Centa, Stefania Belmondo e Gabriella Paruzzi fra le donne. Infine, negli anni più recenti, nell'ambito agonistico dello sci di fondo, sono intervenuti ancora una volta nuovi e rilevanti cambiamenti ed, in particolare, una ulteriore ridefinizione dei requisiti tecnico-funzionali delle piste e dei relativi stadi. In ordine a tali innovazioni, anche per il comprensorio di Prato Gentile sin dallo scorso anno, sopratutto nell'ottica di poter consolidare per il futuro l'aspirazione a candidarsi all'assegnazione di eventi agonistici di interesse internazionale, è stata avviata l'iniziativa per conseguire l'aggiornamento dei circuiti della pista Mario Di Nucci interessando anzitutto, al riguardo, l'apposito rilascio delle indispensabili omologazioni. Alcune carenze dei tracciati delle piste in relazione ai citati nuovi standard plano-altimetrici (format-gara) richiesti per la omologazione federale nazionale (F.I.S.I.) ed internazionale (F.I.S.) sono state, in effetti, evidenziate già dai primi sopralluoghi effettuati nello scorso mese di febbraio allorché si era alla vigilia della manifestazione internazionale OPA-FIS Coppa Continentale "Kurikkala" in calendario per il 3 e 4 marzo 2007. Venuto meno tale evento a causa della mancanza del necessario innevamento, si è proceduto al riesame dei parametri plano-altimetrici innanzi citati onde individuare percorsi rispondenti ai requisiti normativi federali. Le risultanze di tale riscontro, stante le particolari condizioni degli attuali tracciati caratterizzati da salite distanti dallo stadio e spesso con pendenze eccessive non compatibili con il conseguimento degli anelli della lunghezza relativamente corta di km. 2,5-3,33-3,75 attualmente richiesti, hanno evidenziato l'esigenza di dover necessariamente prevede la realizzazione di alcune varianti la cui entità, però, affatto modesta, non comporta interventi onerosi e non induce significativi elementi di impatto sull'ambiente. La conferma di tale esigenza si è avuta a seguito degli ulteriori, recenti, sopralluoghi effettuati dall'omologatore federale. In esito a quanto innanzi è definitivamente emerso che, a condizione che vengano realizzate le varianti delle quali si è fatto cenno, saranno omologati per gare di ambito sia nazionale (F.I.S.I ) che internazionale (F.I.S.): due tracciati della lunghezza di km. 2,5 sviluppantesi indipendentemente l'uno dall'altro, rispettivamente il primo lungo l'anello a valle dello stadio ed il secondo lungo l'anello a monte delle stadio medesimo; un tracciato da km 5,0 costituito dai precedenti due anzidetti opportunamente interconnessi; un tracciato della lunghezza di km. 0,45 circa con sviluppo nello stadio e per lo svolgimento di gare "sprint". L'omologazione delle piste caratterizzate dai tracciati sopra indicati consentirà la realizzazione delle prime gare internazionali (Continental Cup) già in calendario per i giorni 8 e 9 marzo 2008. In futuro potrà essere richiesta l'estensione dell'omologazione anche a due tracciati da km 3,33 agevolmente conseguibili sia lungo l'anello di valle che lungo quello di monte. È emersa, altresì, la necessità di provvedere ad interventi complementari ed accessori quali l'allargamento dei tratti in salita a forte pendenza, la realizzazione di alcuni tombini idraulici per la regimazione delle acque di superficie, il miglioramento della percorribilità di alcune curve e la nuova segnaletica sulle piste. Per quanto riguarda lo stadio, essenzialmente, è stata confermata la sua idoneità al soddisfacente conseguimento, caso per caso, di schemi funzionali regolamentari. La sola rilevante modifica riguarda il rettilineo di fine gara da spostarsi immediatamente in adiacenza alla tribuna del pubblico. È stata verificata e confermata la piena idoneità delle aree dello stadio destinate ai servizi logistico-funzionali (giuria, giudici di gara, direzione di gara e di pista, sicurezza, cronometristi, elaborazione calcoli tempi, spogliatoi, toilets, punzonatura sci, ristoro atleti, speaker, stampa, fotografi, TV, vip, ecc.). Dei citati servizi logistici quelli da svolgere "al coperto" e quelli complementari "fuori campo" (presidio sanitario fisso e mobile, ufficio gare, sala stampa ecc.) possono essere assolti facendo ricorso a locali di tipo permanente od anche - in buona parte - a box prefabbricati da utilizzare all'occorrenza anche in regime di noleggio e da rimuovere successivamente. Riguardo i manufatti esistenti di scavalco delle piste e di sottopasso stradale si è soltanto evidenziata la necessità di provvedere all'allargamento della canna di quello della zona stadio in modo da consentire, alla luce delle nuove esigenze agonistiche, l'agevole transito degli atleti nelle gare, ormai molto frequenti, caratterizzate da partenze in linea (mass start) anziché individuali come per il passato. A complemento degli interventi emergenti dalle esigenze connesse con l'attività precipuamente sportiva, sono state considerate, altresì, opportune strutture ed attrezzature di svago e di ristoro, anch'esse irrinunciabili per il sostegno e lo sviluppo nel tempo delle condizioni di fruibilità integrata del comprensorio. Ezio Trotta Fonte: E. Trotta, L'evoluzione della pista per lo sci di fondo di Prato Gentile, in «Voria», II:2, Capracotta, marzo 2008.
























